Siberia di Abel Ferrara, viaggio nell’inconscio con Willem Dafoe

di Patrizia Simonetti

Non è un film facile Siberia di Abel Ferrara, in sala da giovedì 20 agosto. La Siberia dell’ultimo film del regista americano da anni trapiantato a Roma, presentato in anteprima a Berlino dove ha raccolto giudizi contrastanti, altro non è in fondo che il protagonista stesso: si chiama Clint ed è interpretato da Willem Dafoe, indimenticabile sergente Elias in Platoon di Oliver Stone, altrettanto indimenticabile e controverso Gesù ne L’ultima tentazione di Cristo di Martin Scorsese, Goblin perfetto in Spider-Man di Sam Raimi, senza dimenticare il suo Van Gogh di Julian Schnabel. 65 anni appena compiuti, Willem Dafoe è qui alla sua sesta collaborazione con Abel Ferrara, anche lui statunitense naturalizzato italiano, l’ultima l’anno scorso con Tommaso, il film attraverso il quale il regista si raccontava con tutte le sue imperfezioni e “inabilità” ai ruoli della vita, e con cui dunque Siberia ha in comune il mezzo – il cinema, le immagini, il film – per entrare in un personaggio, e anche le atmosfere oniriche e irreali che in Siberia travalicano quel confine di separazione con il grottesco e, a tratti, l’osceno, a farne un’opera surreale e delirante.

Clint è un uomo tormentato che per ritrovare se stesso e fare pace con i suoi errori, i suoi rimpianti e le sue colpe – non sapremo mai però riguardo a cosa – si ritira nella terra dei ghiacci in una baracca di legno isolata dal mondo dove gestisce un modesto locale per persone di passaggio, strani personaggi in realtà che in parte sono e in parte vengono probabilmente creati dalla mente stessa dell’uomo, come un’anziana donna russa che arriva con una giovane (nipote? moglie?) incinta che offre a Clint come un regalo, interpretata dalla moglie di Ferrara Cristina Chiriac, già nel cast di Tommaso, così come la piccola figlia del regista Anna

Una notte Clint decide che per porre fine ai suoi tormenti deve affrontare un viaggio e lo fa con la sua slitta trainata da splendidi cani husky, come in un film di Zanna Bianca, ma in realtà il viaggio è in se stesso e da qui ha inizio la sua profonda e rischiosa ricerca indagatrice nel suo stesso inconscio – che sappiamo bene non essere per nulla bello come Freud insegna – tra ricordi e memorie deformate che spesso danno vita a figure e corpi deformi, come i pensieri, i ricordi e i sensi di colpa, e “la colpa non è mai condivisa” gli dice la sua ex moglie, uno dei suoi tanti fantasmi. Clint ritrova anche il padre che da bambino lo portava a pesca, o almeno così gli racconta nei dettagli, la madre che non andava mai a prenderlo a scuola pur avendo voluto, ritrova suo fratello identico a lui, persino i suoi compagni di scuola (supponiamo), in un ricordo di bullismo pesante, e ancora scene mostruose, tra sogni e incubi, suoni e parole di altre lingue e altri mondi, tutto nel tentativo di riconciliarsi con il suo passato e con le persone che ha amato e che ama. E al suo ritorno tutto è andato distrutto, la sua baracca, il locale, la baita, tutto è aperto, scoperchiato, spazzato via da una bufera invisibile. Resta un pesce però, un pesce che parla e che dice a Clint “tu sei responsabile per le tue azioni, non accusare altre persone”.

Dopo Pasolini questa storia ha iniziato a prendere forma nella mia mente – racconta Abel Ferraraimmagini assurde, a dir poco strane, lontane dalla città, lontane dalla modernità. Le ho lasciate scorrere dentro di me. Un posto, una sorta di universo alla Jack London, mute di cani, una serie di incontri e di soste nel corso di un viaggio, segnati da luoghi e tempi selvaggiamente diversi. Non ho tentato di scrivere una sceneggiatura perfetta, ma al contrario di raccogliere queste immagini attingendo alla memoria, cercando di creare delle opportunità, di provocare il nostro modo di pensare, di comporre un’esperienza da registrare, sperando che sia abbastanza trasparente e piena di vita da risuonare negli spettatori. Cose che a volte sono difficili da spiegare, ma che è sempre interessante tradurre in un’esperienza puramente cinematografica. Questo non è un addio a quello che ho fatto e abbiamo fatto sino ad ora – è una continuazione. A partire dal mio primo film mi sono immerso sempre più nell’oscurità. Nutro un grande desiderio per quello che il cinema può essere”.

È una bellissima storia senza un racconto lineare, ma al contrario con degli scarti che spiazzano – aggiunge Willem DafoeNon credo di essere l’alter ego di Abel nei suoi ultimi film, sono piuttosto la creatura della sua immaginazione, lui mi chiede di diventare il frutto della sua fantasia e io cerco di farlo, rappresento quello che lui vuole vedere e che ha immaginato, il suo è un lavoro personale, io cerco di autarlo, partecipo, ma non sento mai di interpretarlo. È un film, è invenzione. In Siberia porta sul tavolo delle cose che vuole affrontare, per motivi psicologici, e le unisce al suo acuto senso del cinema. L’approccio non deve essere necessariamente verso una storia, ma un’esperienza, sperando possa essere così immediata da permettere alla gente di trovare legami e identificazione”.

Siberia è una produzione Vivo film con Rai Cinema, Maze Pictures e Piano ed è distribuito in esclusiva per l’Italia da Nexo Digital con il media partner MYMovies.it.