Definirlo semplicemente ‘attore’ è limitativo. Anzi penalizzante. Perché Paolo Rossi è un artista poliedrico. Capace di spaziare dal cabaret alla televisione, dal teatro tradizionale alla commedia dell’Arte passando per la rappresentazione dei classici antichi e moderni come Shakespeare, Brecht, Molière. E proprio al commediografo parigino è dedicato il suo nuovo spettacolo che arriva a Roma al Teatro Vittoria dal 2 al 12 febbraio, dal titolo Molière: la recita di Versailles, regia di Giampiero Solari, su canovaccio di Stefano Massini. Canzoni originali di Gianmaria Testa, musiche eseguite dal vivo da I virtuosi del Carso. Insieme a Paolo Rossi, in scena Karoline Comarella, Lucia Vasini, Fulvio Falzarano, Mario Sala, Emanuele Dell’Aquila, Alex Orciari, Stefano Bembi, Bika Blasko, Riccardo Zini, Paolo Grossi. Ne abbiamo parlato con Paolo Rossi.
Siamo più o meno nel bel mezzo del cammino della tournée. Come sta Paolo Rossi nei panni di Moliere e di Paolo Rossi, lo sdoppiamento funziona?
Beh, qui è triplice, perché in scena lo stile che sto seguendo, e che praticamente sta diventando una sorta di manifesto, è quello di un certo tipo di teatro popolare. Perché la versione che stiamo portando in giro da un mese, sarebbe quasi una versione 02, diciamo così, in quanto l’ho riscritta seguendo gli attori, cambiando molte cose della messa in scena in base proprio a questo stile che è quello dove in scena sono presenti l’attore, il personaggio e la persona. L’attore è quello che conosce il mestiere, il personaggio è quello che interpreti e la persona sei tu. Quindi è un continuo ping pong tra queste tre entità. Dove sono io, a questo punto, non lo so!
E quindi ogni sera offre e offrite allo spettatore uno spettacolo sempre diverso
Andrebbe visto tutte le sere anche se, come dicevo, in occasione delle prime prove col pubblico in questa tornata ho preso in mano la situazione con gli attori e siamo andati verso qualcosa che è molto di più di un canovaccio. Un testo vero e proprio in cui jazzisticamente c’è spazio per l’improvvisazione ma non è tutto campato in aria. Ci sono delle scene intere rifatte durante le recite. Perché una delle caratteristiche di questo stile è recitare con il pubblico e non al pubblico.
Lo spettacolo è una formula magica che racchiude musica, parole e temi d’attualità
Fa parte di un quadro. È uno dei quadri dell’opera fondata su estratti de Il Misantropo, Il Tartufo e Il Malato immaginario. Poi c’è la vita della compagnia dove s’intersecano le vite degli attori ma anche quelle dei personaggi e ci si scambia in continuazione, pur avendo un’architettura che io ho costruito, come dicevo, durante le prime col pubblico e questo corrisponde allo stile di un teatro popolare. L’architettura a parlarne sembra complessa, ma in realtà si segue benissimo. Per me è una grande soddisfazione.
È uno spettacolo in eterno movimento. Ma in questo tourbillon di emozioni, di sensazioni, c’è il momento di perfetto equilibrio, quasi intoccabile?
È pieno di momenti così. Proprio come il jazz, ci sono dei momenti che sono quelli e non si toccano. L’improvvisazione non è solo cambiare il testo, è anche cambiare la tensione, cambiare i rapporti, cambiare i riferimenti al pubblico e al compagno. L’improvvisazione ha mille voci. Per cui il 75 percento è un testo che ho riscritto con il pubblico, proprio come il jazz dove c’è una melodia ben precisa e poi se vuoi improvvisare sai che devi rientrare dentro quella battuta. Perché non s’inventa niente.
In occasione dell’ultima intervista, circa un paio di anni fa, le chiesi quale fosse il momento del teatro di cabaret italiano e mi rispose che non aveva tempo. Io ritento: come sta il nostro teatro di cabaret?
Io vado pochissimo a teatro!!!!” (ride n.d.r.). Ogni tanto però ci vado. E credo che ognuno faccia come ho fatto e faccio io, vale a dire cercare di riprodurre l’immagine del primo spettacolo che ha visto. E io da bambino vedevo questi commedianti col tendone che recitavano opere classiche, opere scritte da loro dove c’era un testo ma c’era anche lo spazio per il riferimento al luogo. Però anche lì 70-80 percento era testo, perché la furbizia è quella lì, cioè non far capire quando improvvisi e quando stai seguendo il testo. Non credo che ce ne siano tanti che seguono questo metodo che è molto italiano e molto popolare.
Sempre in quella occasione, chiedendole se sentisse nostalgia della TV, mi rispose che la sua si era rotta. Nel frattempo l’ha riparata?
Noi come compagnia lavoriamo ancora con la TV ma facciamo le reti monotematiche, Sky, Sky Arte, Rai 5. Lavorare in video ci piace. Se intende ritorno nella televisione classica, con le sette sorelle, le dico assolutamente no. Non ho alcuna nostalgia, mi piace declinare in video le mie cose ma con le reti minori. In realtà ci si guadagna anche. Cosa vuole, quando noi lavoriamo con il modo che abbiamo scelto, comunque facciamo meno pubblico, per ora. Perché voglio vedere Internet tra un paio d’anni se non rimonterà sulle grandi reti. Però quello che gli fai vedere è il tuo lavoro mentre invece oggi lavorare su quelle sette sorelle sarebbe come svilirlo, fartelo condizionare. Magari ti vedono in più persone ma non vedono quello che sei e quello che fai. Quindi tanto vale non farlo, mentre quando lo facemmo in passato c’era quella sorta di vuoto di potere, quel protettore che era come per Molière il Re Sole, che era Guglielmi. Ti dava la possibilità di lavorare in autonomia che è la cosa fondamentale per me, sennò non si spiegherebbero certe mie scelte.
Sono certo che la TV è perfettamente funzionante, in particolare quando gioca l’Inter…
Ah sì, ma il problema è che cambiano gli orari delle partite e coincidono sempre con quelli dello spettacolo!
Moliere: la recita di Versailles, dopo la tappa romana proseguirà la sua tournée a Verona, Venezia, Bergamo, Monza e Modena.