Dililì a Parigi, il nuovo cartone per grandi di Michel Ocelot, videoincontro

di Patrizia Simonetti

Michel Ocelot torna al cinema con un film d’animazione che vede protagonista Dililì, una bambina per metà canaca e per metà francese, avendo avuto il papà kanak, cioè della Nuova Caledonia, il territorio francese nel sud del Pacifico fatto di isole, e la mamma parigina: si dichiara felice di conoscere ogni persona che incontra con un inchino, ha buone maniere, salta benissimo a corda, è altruista e intraprendente. Ma non lasciatevi ingannare: Dililì a Parigi, in sala dal 24 aprile con Bim e Movies Inspired, non è per bambini. Perché non basta che un film sia un cartone per essere dedicato ai più piccoli, soprattutto se tratta temi importanti come la discriminazione di genere, anzi: “io non ho mai fatto film per i bambini – ci spiega Michel Ocelot che abbiamo incontrato a Roma dove è venuto proprio a presentare Dililì a Parigi non sono abbastanza intelligente per fare film per un target particolare, sono un regista, faccio film e l’animazione è un mezzo espressivo alla stregua della letteratura, ci si fa ciò che si vuole. Sin dal mio primo film che si chiamava Les Trois Inventeurs (un cortometraggio del 1980 n.d.r.) non ho assolutamente pensato ai bambini: ho realizzato un racconto filosofico destinato agli adulti e l’argomento del film era l’intolleranza e la violenza, ma è stato vedere solo ai bambini e mi hanno marchiato scrivendomi in fronte “per bambini” e questo marchio non andrà mai via. All’inizio non ne ero contento, ora la cosa mi diverte, anche perché è un cavallo di Troia: gli adulti pensano che essendo animazione sia destinato ai bambini, e non diffidano del film, e io posso parlare di qualsiasi cosa e li faccio piangere…

La storia di Dililì a Parigi è accattivante e affascinante: la ragazzina, sveglia come poche, è di un colore a metà tra il bianco e il nero, “troppo scura per i francesi e troppo chiara per i kanak” dice di lei stessa a Orel, un giovane e coraggioso fattorino che si interessa a lei sin da quando la vede in modalità “attrazione per turisti”, ma non solo, in uno dei villaggi indigeni che all’epoca venivano ricreati nei parchi parigini, tipo zoo, solo che dall’altra parte della cancellata non c’erano animali selvatici ma, appunto, indigeni che lavoravano il legno e preparavano zuppe di frutta e verdura. Con la differenza che finito il loro turno, erano tutti liberi di uscire. Dililì infatti veste di lusso, è colta e parla benissimo il francese che le ha insegnato una nobildonna, la marchesa Casati, che l’ha presa con sé da quando l’ha scoperta nascosta, tipo una clandestina, sulla nave che dalla Nuova Caledonia portava in Francia. Sì perché va specificato che siamo in piena Belle Epoque dove le donne portano ancora i vestiti lunghi e, a detta di Michel Ocelot, sembrano principesse e fate: un tocco di magia sul genere femminile? “Non ho una visione magica né degli uomini né delle donne, ma so che possiedo i mezzi per farvi sognare e li uso – ci risponde – le donne che ho amato, che amo e con le quali mi piace stare non hanno nulla a che vedere con la magia, sono reali, e i miei film sono piuttosto pubblicità per la realtà ed è per questo che ho fatto scenografie composte da foto in cui mostro la realtà, che può essere molto bella, e posso fare qualcosa su Madame Curie, che è una realtà particolare e notevole: innanzi tutto ha avuto la fortuna di avere un padre che credeva nelle sue figlie, poi ha avuto il coraggio di lasciare il suo paese per andare all’Università altrove, ha trovato l’amore, si è sposata, ha avuto dei figli, li ha allevati bene, e la storia che racconto nel film del “dolce è sempre meglio” è vera, non l’ho inventata. Ma è stata una dei più grandi scienziati al mondo ed è straordinario come abbia saputo abbinare questi due aspetti, la ricerca e la vita familiare, tutto ciò quindi è una realtà importante che va imitata…

Già perché Dililì, decisa a risolvere il mistero del rapimento di tante bambine, ad opera, si saprà presto, dei Maschi Maestri che vogliono tornare a sottomettere le donne sin dall’infanzia sottoponendole a segregazione e ad altre orribili cose, tipo vivere a quattro zampe nelle fogne e fungere da sedie per gli uomini, grazie a Orel che la porta in giro per la città con la sua tricicletta, si imbatterà via via in personaggi veri che ognuno a suo modo l’aiuteranno, come Rodine, Edoardo VII principe di Galles, Toulose Lautrec, Pasteur, Renoir, Cezanne, Proust, Picasso, Gustave Eiffel e la soprano Emma Calvè cui si deve il gran finale ad effetto, e molti altri, e facendo persino incontrare nello stesso salotto (ma il merito è anche di Michel Ocelot, va detto) il Nobel per la Fisica Marie Curie, la grande attrice Sarah Bernhardt e la potessa anarchica Louise Michel (un po’ come ha fatto la Disney con le principesse delle varie favole in Ralph Spacca internet), ma il tutto sullo sfondo di semplici fotografie della sua Parigi scattate in quattro anni dallo stesso Ocelot che, peraltro, è regista, sceneggiatore, creatore della storia e delle immagini e che a disegnare ha iniziato a un anno e mezzo scarabocchiando con una matita e da allora non ha più smesso. Un contrasto molto bello quello tra il disegno che è tradizionale, piatto, ben curato e colorato, che “i film americani tridimensionali non mi fanno impazzire – specifica – sono un’imitazione realistica della realtà anche quando i personaggi sono inventati, se si inventano delle storie sono artificiali e questo non va nascosto, il nostro cervello di spettatori ha bisogno di lavorare…” Detto ciò benvengano anche i piccoli spettatori a vedere Dililì a Parigi ai quali, come alla fine ammette anche lo stesso regista, il film “può comunque  fare del bene:  i ragazzini potranno scegliere se essere Orel o un mastro maestro e le bambine imparare a diffidare e a non dimenticare mai la frase ‘mai più a quattro zampe’. Perché se le vittime non accettano di essere tali, la vita dei carnefici è molto meno semplice”. Poi il suo comemnto commosso su quanto avvenuto proprio ieri a Notre Dame, divorata dalle fiamme. Ecco allora il nostro videoincontro con Michel Ocelot: