Barbie: semplicemente geniale. Benvenuti a Barbieland con Margot Robbie e Ryan Goslin

di Patrizia Simonetti

Chi lo avrebbe mai detto che a darci lezioni di femminismo e di empowerment femminile, sarebbe stata proprio lei, Barbie, la bambola sorridente dalle gambe infinite, le tette prorompenti, i lunghi capelli biondi, i piedi bloccati in posizione tacco a spillo, il vitino di vespa, pancia manco un filo e cellulite, questa sconosciuta… Quasi un affronto immergersi nel suo mondo di plastica total pink e un bel po’ kitsch fatto di auto cabriolet, rosa ovviamente, letti con spalliere a conchiglia, coperte di strass, specchi a cuore e abiti glamour, e scoprire che lì, proprio lì, comandano le donne che ricoprono ruoli decisamente importanti, mentre i maschi, ovvero i Ken, sono nulla più che una compagnia coreografica di poco conto cui negare qualunque piacere, perché la festa, la vera festa, ogni sera e per l’eternità, è tra donne…

Benvenuti a Barbieland, dove ci porta Barbie, il film semplicemente geniale tra il celebrativo (perchè indubbiamente gioverà alla ripresa delle vendite della celebre fashion doll) e il socio-satirico (perchè su maschilismo, patriarcato e discriminazione di genere di certo non le manda a dire), scritto, con il compagno Noah Baumbach, e diretto da una donna, naturalmente, ovvero Greta Gerwig, già regista e narratrice del femminile con Lady Bird e Piccole Donne. E chi altri se non Margot Robbie, che ne è anche coproduttrice, avrebbe potuto rendere reale Barbie?

La splendida ed eclettica attrice australiana che abbiamo amato soprattutto in Suicide Squad e Babylon, si cala perfettamente nel ruolo della Barbie prototipo, quella, cioè, senza un ruolo specifico, destinata a rappresentare la perfezione e le intenzioni della sua inventrice Ruth Handler che la creò alla fine degli anni Cinquanta per la Mattel di cui fu cofondatrice, provocando la morte prematura, si fa per dire, di tanti bambolotti neonati che fino ad allora venivano regalati alle bambine così che potessero immediatamente capire che quello sarebbe stato il loro ruolo in società, fare figli ed accudirli. Barbie, una bambola adulta e bellissima e via via con ruoli sempre più di prestigio, aprì loro un mondo e in parte gli occhi. Il film omaggia la Handler (Rhea Perlman) senza snaturarsi, quindi in un modo surreale che qui non vi sveleremo, così come con un vero colpo di genio si serve niente meno che di Kubrick e della sua 2001: Odissea nello spazio per descrivere in apertura la suddetta doll revolution. Molte altre le citazioni, da Forrest Gump fino a Matrix, dove le compresse blu e rosse nelle mani della Barbie stramba Kate Mc Kinnon diventano un décolleté rosa tacco 15 e una ciabatta  raso terra tipo Birkenstock.

Barbie non è tuttavia il suo biopic. La storia è infatti incastonata nei giorni nostri, anche se il tempo a Barbieland è decisamente fermo. Barbie e le altre Barbie – la Barbie presidente degli USA (Issa Rae), la Barbie giudice della Corte Suprema (Ana Cruz Kayne), la Barbie Premio Nobel in fisica (Emma Mackey), la Barbie dottore (Hari Nef), la Barbie scrittrice (Alexandra Shipp), la Barbie avvocato (Shanon Rooney), la Barbie diplomatica (Nicola Caughlan), la Barbie Premio Pulitzer (Ritu Arya), e la Barbie Sirena, cameo acquatico di Dua Lipa che fa coppia con quel Ken Tritone di John Cenah – così come Ken, interpretato da Ryan Goslin e, appunto, gli altri Ken – tra cui il Ken afro-americano (Kingsley Ben-Adir) e il Ken orientale (Simu Liu) – fanno ogni giorno le stesse cose, e per lo più finte: finta, ovvero inesistente, l’acqua della doccia, finta la colazione, finto il mare che se ti ci tuffi ti fai pure male, ma tanto anche la ferita è finta…

Tutto è esattamente come se qualche ragazzina stesse giocando con loro nel mondo reale. E nel caso della nostra protagonista, magari una ragazzina un po’ cresciuta, una mamma affetta da insoddisfazione e nostalgia come Gloria (America Ferrera). Così le cose cominciano a cambiare anche per Barbie: i piedi si appiattiscono, i pensieri si oscurano e, dramma nel dramma, arriva pure la cellulite. C’è solo una cosa da fare: varcare il portale tra Barbieland e il mondo reale e andare a cercare la responsabile umana di tutto questo, chiudendo il collegamento.

Accompagnata suo malgrado dal platinato, stupido e innamorato Ken, Barbie irromperà quindi nel nostro mondo scoprendo presto che non è esattamente come se lo era immaginato, e cioè a misura di donna, cosa che lei stessa, in quanto Barbie, aveva secondo lei contribuito a realizzare, ma tutto il contrario. Persino la Mattel che l’aveva creata è in mano agli uomini, e a capo c’è un tipo che non sprizza certo intelligenza e lungimiranza da tutti i pori, interpretato da Will Ferrel. Tutto ciò piacerà però non poco a Ken che lo riporterà, a suo modo, a Barbieland, rischiando di distruggerla con l’imposizione del patriarcato.

Barbie, al cinema da giovedì 20 giugno, è davvero un film geniale, che coniuga l’immaginario con la realtà, e con continue trovate esilaranti per quanto surreali, e stoccate subliminali, ma poi neanche tanto, destinate alla platea reale del film e alla reale situazione della donna nella società umana di oggi, costretta a barcamenarsi tra le sue mille incombenze e risultando in qualche modo mai all’altezza, mai apprezzata e perennemente sbagliata, ma che può sopravvivere e vincere tutto questo semplicemente essendo se stessa. Almeno secondo il monologo risveglia coscienze di Gloria. Il cast inoltre risponde bene ai comandi di una modalità decisamente sopra le righe che diverte dall’inizio fino alla fine della storia, quando però il tono cambia e anche la bambola più bella del mondo, dopo un incontro che sfiora il divino, decide di vivere nella realtà, affrontando le fatiche e le gioie di essere donna, sessualità in primis. Tocco di classe, la voce narrante – ma non fastidiosamente onnipresente – di Helen Mirren nella versione originale, mentre in quella doppiata in italiano è di Ada Maria Serra Zanetti.