Andrea Camilleri presenta La mossa del cavallo, da Montalbano alle rivolte dei contadini, videoincontro

di Patrizia Simonetti

C’era anche Andrea Camilleri questa mattina alla presentazione in Rai de La mossa del cavallo, il primo film tratto dai romanzi storici dell’autore de Il Commissario Montalbano ambientato sì a Vigata, ma nel 1877, in onda lunedì 26 febbraio in prima serata su Rai1 per la regia di Gianluca Maria Tavarelli, protagonista Michele Riondino che aveva già interpretato il giovane Montalbano, qui nel ruolo dell’ispettore ai mulini Giovanni Bovara. Disponibile e loquace, Andrea Camilleri che “non chiamatemi maestro – dice subito – che Sciascia si faceva chiamare maestro solo perché era un maestro di scuola, a me chiamatemi Camilleri o Andrea”, ci ha raccontato di tutto e di più su La mossa del cavallo e su cosa c’è dietro, partendo da quel timore dichiarato per il successo di Montalbano, una scusa, in pratica, una bella mossa, appunto, per preparare e addolcire i telespettatori a questa sua nuova trasposizione televisiva. Una dichiarazione, la sua, che “nasce dal fatto che Montalbano, soprattutto nelle ultime due puntate, abbia raggiunto questi livelli altissimi di consenso – spiega Andrea Camilleriperché io di fronte a tanto consenso provo un po’ di paura, non vorrei che qualcuno venisse sotto le finestre di casa mia gridando Montalbano Santo Subito… io penso a quegli spettatori che si sono viste tutte le repliche, gente che vorrei conoscere di persona per chiedere loro ‘ma scusate cosa ci provate’… un povero spettatore ormai pieno di bacilli montalbaniani si siede e si trova di fronte a un altro mondo… non vorrei ripetere l’errore che fecero i governanti subito dopo l’unità d’Italia, cioè senza preavviso… allora ho avvisato…” Perché, dice ancora CamilleriLa mossa del cavallo è un romanzo duro… qualcuno ha scritto che i Montalbano sono rassicuranti, io non li trovo rassicuranti ma inquietanti, e questo lo è proprio per dichiarazione di principio, perché è una critica a uno degli errori più grossi dell’Italia post unitaria...”

E allora racconta Andrea Camilleri di quando la maggioranza quasi assoluta dei siciliani votò a favore dell’Unità d’Italia e si interroga su cosa possa dunque aver provocato quel grande disamore successivo da e verso il  Paese, di quando arrivò “l’esercito fucilatore”, di quando Carlo Alberto Dalla Chiesa, “nonno del nostro generale”, dice ai soldati di “non aver timore di sparare contro i contadini e bruciare le loro case, tanto dentro vi troverete più fucili che pane… I libri di storia trovano le loro spiegazioni, li chiamano tutti briganti, i siciliani, i calabresi, ma erano semplicemente contadini in rivolta. E allora io cerco di chiamare le cose con il loro nome”.

Ci racconta ancora Camilleri dell’improvvisa istituzione, in Sicilia, della leva obbligatoria, così, senza alcun preavviso, a “levare a una famiglia povera una nuova possibilità di braccia lavoro, è una tassa… uno degli errori più giganteschi che il governo nazionale abbia potuto fare”. Parla poi Camilleri, ammettendola, della rappresentazione “edulcorata” della sua Sicilia in Montalbano, rappresentata “attraverso la dolcezza della memoria che conservo dentro di me della mia terra”, e dell’orgoglio quindi “di essere considerato l’ambasciatore di un’altra Sicilia alla quale si è data troppa importanza… io mi sono sempre rifiutato di scrivere di mafia, l’ho fatto una solo volta ma con il ricavato del libro ho realizzato borse di studio per i figli di poliziotti caduti in Sicilia, non volevo guadagnare una lira sulla mafia, sto cercando di dimostrare che esiste un’altra Sicilia”.

Incalzato dalle domande, ne ha pure per la campagna elettorale della quale “preferirei non parlare” dice, ma poi la definisce “questa cosa disgustosa fatta di false promesse e di insulti reciproci”; parla del divario ancora straziante tra nord e sud che “certo che c’è, basta prendere un treno”, di come Falcone parlava in dialetto siciliano con i mafiosi, ovvero del “dialetto come radice culturale comune”, e infine, rispondendo alla nostra di domanda, del suo grande amore per Genova che torna ne La mossa del cavallo come città dove ha vissuto il protagonista, così come in Montalbano è la città di Livia, tanto da trasformare il vero ispettore ai mulini che ha ispirato il suo romanzo, da milanese a Genovese. Tutto ciò mentre con disinvoltura assoluta si accende e si fuma una sigaretta, proprio nella sala degli Arazzi di Viale Mazzini, ma “lui può… vagli a dire qualcosa” commenterà poi scherzando qualcuno dell’ufficio stampa. La conferenza stampa di Andrea Camilleri in occasione de La mossa del cavallo: