Wajib Invito al matrimonio, videointervista a Saleh Bakri

di Patrizia Simonetti

Padri e figli sono spesso specchio delle rispettive generazioni e quindi di differenti visioni, incomprensioni e conflitti che richiamano dinamiche simili a quelle intrafamiliari a livello più ampio, e che si complicano inevitabilmente se si vive, o non si vive più, in una terra come la Palestina. Lo rende molto chiaro il già pluripremiato Wajib Invito al matrimonio della regista palestinese Annemarie Jacir (When I saw you) in sala da mercoledì 24 aprile con Satine Film, che vede protagonisti Mohammed Bakri (La masseria delle allodole dei Taviani, Private di Saverio Costanzo) e Saleh Bakri (Salvo di Piazza e Grassadonia, When I saw you di Annemarie Jacir), padre e figlio nella vita come in questo film, che porta sul grande schermo due differenti modi di vivere e sopravvivere al dolore di appartenere a una terra che per quanto martoriata e occupata si continua fortemente e con orgoglio a sentire propria. “Lavorare con mio padre è sempre un grande piacere – ci dice Saleh Bakri nella nostra videointervista che trovate a fine articolo – ma chiaramente i nostri personaggi erano una sfida per entrambi, perché anche noi come padre e figlio abbiamo le nostre contraddizioni, le nostre discussioni, ma Abu e Shadi hanno una visione della vita completamente diversa…

Wajib Invito al matrimonio racconta una storia di relazioni, familiari ma non solo, che si svolge nella comunità cristiana di Nazareth dove ancora, in occasione del matrimonio di una ragazza, il padre e i fratelli usano portare a mano gli inviti alla cerimonia, uno ad uno, non importa quanto gli invitati vivano distanti o se sono anni che non si frequentano. Una tradizione che per sua stessa definizione diventa un dovere, da cui Wajib, termine che appunto questo significa. “Quando mia cognata si è sposata è stato dovere di mio marito consegnare gli inviti con suo padre – racconta la regista Annemarie Jacir – decisi di seguirli silenziosamente e per i cinque giorni impiegati per attraversare la città e i villaggi circostanti. Come osservatore silenzioso a volte era divertente e altre volte doloroso, gli aspetti di quella speciale relazione tra padre e figlio, le tensioni dell’amore che li lega sono venuti fuori a piccole dosi, così ho iniziato a lavorare all’idea di questi film, partendo da questa fragile relazione”.

Ogni visita, casa per casa, è dunque occasione per i due uomini di ricucire rapporti parentali o di amicizia perduti, magari anche mentendo un po’, perché in fondo che male fa raccontare a ognuno ciò che vorrebbe sentirsi raccontare? Così almeno la pensa Abu Shadi, insegnante sessantenne, abbandonato anni prima dalla moglie che se n’è andata in America con un altro uomo, che sta organizzando le nozze di sua figlia Amal, l’unica rimasta con lui perché anche il figlio Shadi ha lasciato famiglia e Palestina per andare a fare l’architetto in Italia dove ha conosciuto la sua attuale compagna con cui vive, ma che non può accompagnarlo a Nazareth dove le è proibito rientrare. Lui invece, Shadi, torna a casa proprio per sostenere il padre nella messa in pratica del Wajib e il loro peregrinare in macchina di paese in paese sarà l’occasione per chiarirsi e scontrarsi sui grandi temi legati alla storia della loro terra e al modo di affrontare la situazione, sia sul piano generale che privato. Per il padre meglio invitare anche chi non si vorrebbe se può contribuire a migliorarti la vita, in pratica a promuoverti a preside, meglio far finta di niente se al tavolo vicino al tuo al bar vengono a fare colazione dei militari israeliani, meglio accontentare tutti, anche nelle loro pretese assurde, pur di non litigare e passare alle mani; per Shadi, il figlio, tutto ciò è incomprensibile e la rabbia prende spesso il sopravvento: inutili quindi tutti i tentativi del padre di riportarlo a casa cercando di convincerlo che le donne in Palestina sono più belle e persino il cappuccino lo fanno meglio che in Italia. “Può darsi che qui padre e figlio rappresentino due differenti generazioni – ci dice Saleh Bakri ma è anche vero che nella stessa generazione del padre ci sono tante persone molto diverse da Abu Shadi, ci sono persone che sono più combattive, altre più collaborative, non si può dire che rappresenti a pieno la sua generazione, e così è per il figlio Shadi. Io da parte mia rispetto entrambi i personaggi”. La nostra videointervista a Saleh Bakri: