Venezia 72: Pecore in erba, opera prima di Alberto Caviglia: ironia e satira contro l’antisemitismo

di Patrizia Simonetti

Leonardo Zuliani odia gli ebrei. Da sempre. Senza se e senza ma. Il suo antisemitismo è al centro di ogni cosa che fa ed è, sia l’attivista dei diritti civili, il fumettista, l’autore, lo stilista, e sempre di successo. Convinto che è colpa di un complotto ebreo se sono morti Kennedy, John Lennon e pure la mamma di Bambi, riscrive la Bibbia e brevetta un kit dell’amore composto da una bandiera israeliana e una tanca di benzina e ci fa pure i soldi. A un certo punto però Leonardo Zuliani scompare – siamo nel 2006 – e tutto il quartiere romano di Trastevere dov’è nato e cresciuto è in stato d’agitazione, un’agitazione che presto si trasmette a livello nazionale: la TV ne parla, le autorità mandano le loro condoglianze alla famiglia, i suoi seguaci si disperano.

La sua vita a quel punto viene ricostruita in un film documentario in cui parlano personaggi noti e di un certo livello che a mano a mano disegnano il vero Leonardo Zuliani: Fabio Fazio, Corrado Augias, Carlo Freccero, Ferruccio De Bortoli, Gipi, Linus, Elio, Giancarlo De Cataldo,. Quelli veri però, prestatisi al gioco di raccontare una storia completamente inventata, proprio come il suo assurdo protagonista.

Dopo Italian Gangsters di Renato De Maria, il secondo italiano a Venezia 72 nella sezione Orizzonti è il 34enne Alberto Caviglia con la sua opera prima Pecore in erba, con Margherita Buy, Vinicio Marchioni, Carolina Crescentini, Francesco Pannofino, Davide Giordano, Anna Ferruzzo, Bianca Nappi, Mimosa Campironi, Lorenza Indovina, Omero Antonutti, al cinema dal 24 settembre (Bolero Film).

“Esiste ai giorni nostri una nuova chiave per parlare di antisemitismo in modo da coinvolgere e sensibilizzare riguardo un tema così delicato? Pecore in erba è un film nato per rispondere a questa domanda” dice il regista. Ecco allora l’ironia e la satira a rompere ogni tabù, a rendere ridicoli ipocrisie e pregiudizi, espliciti e non, perché, aggiunge: “sarebbe riduttivo pensare di poterlo riscontrare solo nei gesti più estremi” e a trattare un tema “così antico e purtroppo allo stesso tempo attuale che non ha mai suscitato un grande interesse oltre a quello storiografico”.