Urge: Alessandro Bergonzoni al cinema con il suo voto di vastità alla scoperta del granché

di Patrizia Simonetti

Alessandro Bergonzoni ha visitato un bel po’ di prigioni, volontariamente si intende, dalla sua Bologna a Piacenza e a Torino, perché in Italia in prigione si sta veramente male, sempre che non ci si muoia dentro a una cella, tanto che qualcuno gli aveva suggerito di farci un film ma “basta mettere delle pentole vicino alla doccia e il letto in bagno” rispondeva lui. Il giocoliere di parole che ha fatto “voto di vastità scavando il fosse, usando il confine tra sogno e bisogno” alla fine il film lo ha fatto, si intitola Urge, arriva in sala oggi, giovedì 3 marzo, distribuito da EXIT Med!a e diretto dal suo collaboratore di sempre, Riccardo Rodolfi. O meglio, Alessandro Bergonzoni ha portato sul grande schermo il suo tredicesimo spettacolo teatrale, Urge appunto, quello prima di Nessi, che concentra su un palco e in un lungo discorso, tu chiamalo se vuoi monologo, sogni e riflessioni, assurdi i primi quanto surreali le seconde, concatenati come in quel gioco che tu dici una parola e l’altro deve dirne una in qualche modo, ma non necessariamente per logica, attinente. Però non ditegli che lui fa ridere e pensare perché se la prende un bel po’. Certo è che Alessandro Bergonzoni fa sogni strani, tipo un uomo con il pallino delle bocce e quindi tutti gli altri dietro perché senza il pallino come ci giochi a bocce? E poi ci sono tre mendicanti, o forse tremendi canti, arriva l’ambulanza e li porta al centro grandi stonati, e poi c’è la madre che nei sogni è strana, mezza madre e mezza ussaro, e il fratello che incarta i serpenti, ma non li incanta… E pure a riflessioni Alessandro Bergonzoni non scherza, tipo quella sul giaguaro “che diventa uno degli animali più lenti se lo metti in un montacarichi mentre la lumaca diventa uno dei più veloci se la metti su un aereo”, che poi magari non è un granché “ma lo sappiamo poi cos’è il granché?” E poi, per tornare alle prigioni, la cronaca della folle fuga del detenuto rinchiuso in una cella larga 45 centimetri e lunga 27 chilometri che “misero me – si lamenta – avrebbero dovuto metterci un altro, ma misero me”, dove i corridoi sono così brutti che si chiamano orridoi e il secondino ha due tartarughe al guinzaglio e lui si chiama Veleaizzo. Poi minimizzato dalla sorella che “eeeh, non sei l’unico che soffre al mondo”, fugge attraverso il muro passando da una crepa che “si chiama così ma a volte ti dà la vita” e arriva nelle tubature del termosifone tra bestie feroci, i boiler, ma non è solo: c’è un tipo, anche lui minimizzato, che ha ucciso il suo cane da francobolli, lui gli dava le buste e gli ordinava “attacca!”, pare fosse bravissimo. E poi un altro finito in galera per aver mangiato il pollo con le mani, ma non è una pena esagerata? No se quello era l’unico esemplare al mondo che la scienza cercava da millenni, ovvero un pollo che aveva le mani. E c’è pure il grande cormorano, la parte saggia della vita, ma gli altri alla fine escono e lui invece resta dentro con quel caldo che fa.

“Non si voleva fare un film di Urge – ci dice del resto Bergonzoni – lo chiamerei più Urge al cinema, cioè il teatro al cinema che lo preferisci alla televisione perché esci di casa, stai con altre persone e il film te lo vedi al buio, non stai a subirlo. Poi ovviamente io lo chiamo lente di ingrandimento e non di gradimento, perché questo poi lo dovrà dire il pubblico, perché è per far vedere attraverso la lente il particolare, le facce, gli sguardi, le rughe e i momenti che a teatro ti perdi. Certo è un idea boomerang che ci può portare anche di nuovo al teatro”. La Tv no, è un virus letale, dice Bergonzoni, il cinema invece gli piace, tipo Wenders e Tarantino, Rosi, Crialese e pure Pif, però lui lo ha fatto poco (Pinocchio di Roberto Benigni nel 2002 e Quijote di Mimmo Paladino nel 2006), e giusto se fosse morto potrebbe interpretare un personaggio, anche se a fare un film vero una volta ci ha provato:

Ecco il trailer di Urge:

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