The Haunting of Bly Manor, storia d’amore e di fantasmi

di Patrizia Simonetti

Un’elegante signora racconta a un gruppo di persone riunite attorno al fuoco di un camino in un altrettanto elegante salotto, una lunga storia di fantasmi, chissà se vera oppure no. L’intento è di terrorizzare il suo ristretto ma appassionato auditorio, spiegando che i racconti dell’orrore sono sempre più efficacemente spaventosi se includono tra i personaggi almeno un bambino, e in questa storia, avverte, ce ne sono addirittura due. Comincia così The Haunting of Bly Manor, su Netflix da venerdì 9 ottobre, secondo appuntamento, dopo The Haunting of Hill House, con la serie antologica tratta dai romanzi del terrore, in questo caso da Il giro di vite (The Turn of the Screw) di Henry James cui resta abbastanza fedele, almeno all’inizio, per poi scovarci dentro altri racconti dello stesso autore. Della prima stagione ritroviamo gran parte del cast, come Victoria Pedretti, Oliver Jackson-Cohen, Henry Thomas, Kate Siegel, Carla Cugino, sempre diretti dall’ideatore e showrunner Mike Flanagan: “esattamente come con Hill House, volevamo creare qualcosa di vecchio e nuovo allo stesso tempo, reinventato e riverente – spiega FlanaganThe Haunting of Bly Manor ha alcuni elementi in comune con la prima: vedrete alcuni volti familiari, ed è piena di brividi e cose che si scatenano nella notte, ma mentre Hill House era in definitiva un storia di dolore, traumi e conflitti familiari, Bly Manor è, nel suo cuore, una storia d’amore. Il romanticismo gotico è spesso frainteso, la parola stessa ‘romanticismo’ si presta alle aspettative di qualcosa di sdolcinato e sciropposo, ma nel mondo di Henry James aveva una connotazione diversa: significava mistero ed eccitazione, e il romanticismo gotico significava orrore e rovina. Qui il romanticismo è sepolto tra segreti, agonia e senso di invasione del destino. Si scopre che il romanticismo gotico ha i denti e noi ci siamo divertiti tantissimo ad affilarli. Questa è un’altra storia di una casa infestata, certo, ma anche di persone infestate, e di fantasmi, raccontata come dovrebbero essere raccontate tutte, a bassa voce, intorno a un fuoco”.

Il falò è in effetti un elemento che torna spesso in The Haunting of Bly Manor, è attorno ad esso che alcuni personaggi si rivelano agli altri, si scoprono, si raccontano e si confessano, ascoltati o meno, nel presente o nel passato. Siamo nel 1987 in una lussuosa tenuta nella campagna inglese, casa delle vacanze della famiglia Wingrave, Bly Manor, per l’appunto. I genitori dei piccoli Flora e Miles (Amelie Bea Smith e Benjamin Evan Ainsworth, entrambi “perfettamente splendidi”) sono morti all’estero e lo zio Henry (Henry Thomas), massacrato dai sensi di colpa dai quali tenta di difendersi con l’alcol, li fa trasferire definitivamente nella grande casa tra il verde – custodita tutto l’anno dalla fedele governante Anna Grose (T’Nia Miller) che assumerà subito il cuoco Owen (Rahul Kohli), e dalla giardiniera Jamie (Amelia Eve) – affidandoli alle cure della giovane istitutrice americana Miss Dani Calyton (Victoria Pedretti), assunta in realtà dopo la misteriosa morte della bambinaia precedente Miss Jessel (Tahirah Sharif), e non vuole assolutamente avere più nulla a che fare con loro. Nulla però scorre sereno, tra presenze misteriose, strani “giri di vite”, corsi e ricorsi, leggende e un lago perennemente offuscato dalla nebbia che gli conferisce un aspetto a dir poco inquietante (e non si è ancora visto il fondo…). Il lago come il falò di cui sopra, quindi acqua e fuoco, due elementi da tenere d’occhio soprattutto quando si mescolano con un terzo, la terra ad esempio, seminando impronte di fango che sembrano non appartenere a nessuno.

Ovviamente nella grande casa, che in realtà somiglia più a un castello, c’è la classica ala vietata a tutti, e regolarmente violata, con mobili e specchi ricoperti di teli bianchi e polverosi, dove probabilmente, molti anni fa, qualcosa è accaduto, qualcosa di terribile come a volte l’amore sa essere, se sopraffatto dal rancore, dalla disperazione, dall’invidia e dalla gelosia. The Haunting of Bly Manor è in effetti una storia d’amore, lugubre certo, e tragica, ma, seppure a tratti un po’ lenta, affascinante. Fondamentali per il suo evolversi sono i rapporti tra le persone, tutte qui ben raccontate, e i legami, quelli che riescono ad ancorarci, ma non sempre, alnostro mondo del qui e ora. I ricordi sono spesso pesanti da sopportare, soprattutto se qualcuno ci spinge dentro, i rimorsi pure, quelli che appaiono quando ci guardiamo, nello specchio ad esempio, allora si cerca di dimenticare la propria storia e con lei anche la propria faccia. Tutti i personaggi di The Haunting of Bly Manor hanno qualcosa da rimuovere, persino i bambini, e anche l’incantevole e disarmante Dani, ma per comprendere il mistero fitto e oscuro di Bly Manor e le origini della sua maledizione bisogna andare indietro, molto indietro nel tempo e nella storia, e quindi arrivare fino all’ultimo, nono episodio, anche se il fondamentale ritengo sia il precedente, un piccolo spin off in bianco e nero che svela gran parte dell’arcano. Ma nulla potremmo capire se non teniamo presente un punto fondamentale, e cioè che seppure l’amore è per sempre, la morte di certo non lo è. Almeno non a Bly Manor.