“La felicità è una cosa semplice”. Queste parole che suscitano pura emozione, accompagnano la nuova stagione del Teatro Argot Studio di Roma, sala gioiello nel cuore di Trastevere che ormai da oltre trent’anni offre in cartellone grandi classici e spettacoli della drammaturgia contemporanea. La programmazione 2016-2017 dell’Argot sarà composta da una stagione così definita large, sette spettacoli di lunga tenitura, e da una altrimenti detta small, otto spettacoli nei soli weekend. Anche in questa stagione Argot tiene alta l’attenzione rivolta ai giovani e ai nuovi talenti con tre progetti dedicati e l’attenzione rivolta allo studio delle discipline e tecniche dello spettacolo dal vivo. La programmazione ufficiale aprirà martedì 4 ottobre con lo spettacolo Misantropo ovvero liberi esperimenti dell’arte del vivere sociale, da Molière per l’adattamento, traduzione e regia di Francesco Frangipane, e chiuderà con Senza Glutine, testo inedito del giovanissimo autore e attore Giuseppe Tantillo che ne cura la regia insieme a Daniele Muratore, in scena dal 26 aprile (Qui tutto il cartellone).
Ma in realtà la stagione dell’Argot debutta in una sorta di anteprima martedì 20 settembre con Niente panico di e con Luca Avagliano, sottotitolo Vaneggiamenti di un patafisico involontario, un monologo in bilico tra comico e disperato, talvolta cantato, infarcito di nonsenso e in continua interazione con il pubblico. Un uomo in pigiama. La fine di un amore. La solitudine improvvisa e quel senso di smarrimento in cui riecheggiano domande, interrogativi della serie: brevi cenni dell’universo. “Vivere un presente senza futuro significa essere condannato a non crescere?”. E ancora: “Cosa è vero: ciò che è vero o ciò in cui si crede?” E così via. Ne abbiamo parlato con Luca Avagliano.
Niente panico è un invito a non avere paura?
È un invito che facevo prima di tutto a me quando scrivevo perché ne sono autore e mi sono forzato molto a vivere questa cosa da solo. Un po’ per necessità e un po’ perché mi diverte giocare con il pubblico. Perché il teatro per me è interazione e qui ce n’è molta. Niente panico e un vaneggiamento, un flusso di incoscienza. Vengo posseduto da molte cose, interrogandomi a come si fa sopravvivere ad un presente che apparentemente non ha un futuro e quindi impossibilitato a crescere.
Ti dai poi delle risposte magari ponendo gli stessi quesiti al pubblico in platea?
Cerco di darmi delle risposte tipo: dove è il mio posto nel mondo? Spero nell’arrivo degli alieni perché forse non è in questo mondo. Le persone che coinvolgo si riconoscono in quello che racconto, non pensavo fossero così diffuse. Racconto qualcosa che non è generazionale, questo senso di smarrimento, non capire dove mettere i piedi per poter andare avanti, esiste.
In questo canovaccio, lo spettacolo logicamente è sempre diverso perché diverso è il pubblico che vi assiste. Nonostante questo, c’è un momento di emozione che vivi invece in ogni rappresentazione?
La condizione di cui parlo è quella dell’abbandono, il naufragare di una storia d’amore. Da lì, da una frase che è: non abbiamo più futuro, incagliarsi in questo pensiero. Questa cosa ritorna, e la cosa effettivamente più intensa che c’è è di non riuscire a trovare la chiave di volta.
Ed ecco una sintesi live di Niente panico di Luca Avagliano alla presentazione della nuova stagione dell’Argot: