Stranizza d’amuri: recensione e videoincontro con Giuseppe Fiorello e il cast

di Patrizia Simonetti

Non è un film a caso quello con cui Giuseppe Fiorello esordisce alla regia. Né, tanto meno, una storia a caso. La sua era infatti una sorta di necessità. Quella di raccontare la nascita di un amore tra due ragazzi siciliani, Giorgio e Antonio, che si sono conosciuti e innamorati, e che per questo sono stati uccisi. Il delitto di Giarre si consumò realmente nel catanese nel 1980, e segnò la nascita di una nuova consapevolezza e anche del primo circolo Arcigay. Ma questo non lo racconta Giuseppe Fiorello nel suo Stranizza d’amuri che dedica proprio a loro, e ci tiene a ricordarlo in conferenza stampa. Racconta, piuttosto, di come e quanto l’amore possa essere travisato, sporcato, incompreso, persino da chi solo amore dovrebbe dare. Come un padre. E come una madre.

Un’opera prima, dunque, sentita e appassionata, complice anche una sorta di senso di colpa perché da siciliano, ci rivela Giuseppe Fiorello, quella brutta storia non la conosceva. Nessuno ha mai pagato per aver sparato in testa a Giorgio e Antonio lasciando i loro corpi stesi al sole, vicini, mano nella mano. Lì però il film finisce. Non segue le indagini scarse e la durezza del dolore, non ce li fa neanche vedere morti quei due adolescenti invaghiti persi l’uno dell’altro e dell’amore, perché non sarebbero dovuti morire. La storia è dunque quella del loro sentimento soffocato dalla grettezza e dall’ignoranza violenta e ridotto ad una stranizza d’amuri da nascondere, evitare, combattere. O, al massimo, coltivarla di nascosto anche per cento anni…

Girato tra Pachino, Buscemi, Marzameni, Noto e Ferla e non a Giarre in qualche modo per rispetto, Stranizza d’amuri, al cinema da giovedì 23 marzo, narra dunque la loro storia concedendosi libertà e variazioni sul tema, spostandosi di un paio d’anni, al 1982, con i mondiali di calcio in corso, sullo sfondo di una Sicilia luminosa, posti segreti fatti di acqua azzurra, rocce bianche e sole, tra fuochi d’artificio e corse in motorino, un bar pieno di gente che non ha niente da fare se non rendere la vita impossibile ad altra gente, famiglie chiassose e intolleranti, donne sole aggrappate a uomini che non amano e madri che stringono al telefono “un patto tra carnefici, addolorate ma carnefici” ci dice Simona Malato che interpreta Lina, madre di Gianni, che con Carmela, mamma di Nino interpretata da Fabrizia Sacchi, si rende suo malgrado, e forse inconsapevolmente, complice della morte dei due ragazzi.

Qui Giorgio e Antonio si chiamano Gianni e Nino, e sono sorprendentemente interpretati da Samuele Segreto, già visto in In guerra per amore di Pif, Mario Francese e attualmente ad Amici, e da Gabriele Pizzurro al suo debutto cinematografico dopo un bel po’ di teatro. Nel cast anche Antonio De Matteo (Mare fuori) nel ruolo del padre di Nino, Giuseppe Spata, Roberto Salemi, Anita Pomario, Enrico Roccaforte, Giusppe Lopiccolo, Manuel Bono, Alessio Simonetti, Raffaele Cordiano, Giuseppe Vasile.

Giovanni Caccamo, siciliano di Modica, firma, insieme a Leonardo Milani, la colonna sonora, dove c’è anche Franco Battiato: le musiche originali del film raccolgono ben 15 tracce inedite (Fenix Entertainment / Ala Bianca Group / BMG Rights Management Italy Srl) tra cui l’inedita Luntanu, cucita sulla storia di Gianni e Nino. Il nostro videoincontro con Giuseppe Fiorello, Gabriele Pizzurro, Simona Malato, Fabrizia Sacchi, e anche Giovanni Caccamo e Luigi Carollo, coordinatore del Palermo Pride: