Servizio pubblico chiude in piazza il 18 giugno. Santoro: la TV è una marmellata, troppi talk show e troppo lunghi, ma vorrei tornare in Rai

di Elisabetta Tonni

L’ultima puntata di Servizio Pubblico, il programma di Michele Santoro in onda su La7, si farà da una piazza di Firenze e sarà aperta a tutti i cittadini, ma chi vuole partecipare dovrà pagare un biglietto. Il biglietto sarà però simbolico: qualcosa di rosso. A spiegarlo è stato lo stesso autore e conduttore di lunga data che ha fatto il punto sulla televisione, sui talk-show, sulla politica e sul suo futuro prossimo e su quello un po’ più remoto.

“Qualcosa di rosso – spiega Santoro – perché il rosso ha tanti significati e tanti rimandi. Può simboleggiare la sinistra, ricorda il colore dei garofani dei socialisti, rimanda al rosso della Fiom di Landini. Può avere mille interpretazioni, ma la cosa che deve accomunare tutti questi significati è un senso di appartenenza che non è detto che sia l’unica per tutti, purché questa divaricazione sia però creativa. Io non credo che se la destra e la sinistra si somigliano sia un bene”.

L’ultimo appuntamento del 2015 con Michele Santoro è in calendario per il 18 giugno, cioè a chiusura della quattro puntate di Anno Uno condotto a partire dal  21 maggio da Giulia Innocenzi. Eppoi che cosa farà Santoro? Si prenderà un periodo di riflessione, alcuni mesi, per riflettere e capire se ci sono gli spazi e le condizioni necessarie per continuare la sua sfida con una televisione innovativa, di nuove formule, di cui ancora non è sazio. Michele Santoro ci scherza su e parafrasando Pirandello dice di sentirsi “un autore in cerca di sei editori”. Però l’editore che più ha nel cuore, quello con cui vorrebbe veramente coronare la carriera televisiva fatta di successi (tanti), di insuccessi (qualcuno), ma che sicuramente rappresenta una pietra miliare nella storia della televisione, è la Rai.

Con le telecamere del servizio pubblico è partita la sua avventura e dalle telecamere del servizio pubblico vorrebbe far vedere che c’è ancora uno spazio da re-inventare. Sui suoi progetti futuri lascia intravvedere qualcosa, ma non si scopre più di tanto: un docu-dramma, un film “d’amore” e si schernisce aggiungendo “potreste essere più vicini di quanto immaginiate”, ma quella risatina di accompagnamento lascia intuire che non necessariamente si tratti della ‘classica’ storia d’amore. E se non c’è la Rai, quale altro potrebbe essere l’editore? “Qualsiasi altro – aggiunge Santoro – potrebbe essere Sky, la stessa La7, il Fatto Quotidiano, ma anche un azionariato diffuso della mia struttura di produzione, magari con una quotazione in Borsa”.

Servono idee nuove, secondo Santoro: “non è vero che c’è la crisi del talk show: c’è la crisi di un particolare formato di questo contenitore di approfondimento che si sta ripetendo all’infinito, copiato da tutte le reti e replicato su troppe serate. Addirittura gli approfondimenti del mattino sono strutturati a talk show. In questo modo si è creato uno sbilanciamento fra la domanda e l’offerta. I rappresentanti del mondo politico sono sempre quelli, quindi gli ospiti sono sempre gli stessi, così come gli argomenti affrontati sono sempre gli stessi. Tutta questa prolificazione di talk show non fa bene neanche ai telegiornali. Anche lo stesso TG di Mentana che è già un approfondimento è danneggiato – a mio avviso – da tutti questi talk”. E fa un paragone con il passato recente: “solo pochi anni fa c’erano Ballarò, Anno Zero, Porta a Porta che non si sovrapponevano mai l’uno con l’altro. Adesso solo su La7 ci sono talk show dal lunedì al giovedì che oltretutto sono in competizione con altri talk show”.

Dalla crisi di questa formula di contenitore alla crisi della televisione, il passo è breve. E anche lì Santoro è un fiume in piena. “Allungare la durata dei talk show di un’ora è stato un errore, perché è vero che hanno portato maggiori incassi pubblicitari, ma hanno fatto scomparire la seconda serata. La televisione deve essere fatta di grandi appuntamenti seriali. Non possiamo andare avanti in questa forma. È diventata una marmellata che si continua a sbattere nel barattolo. Ogni tanto esce fuori un pezzetto d’arancia che vuole andare da qualche altra parte”. Il pezzetto d’arancia, a chi non fosse chiaro, è il desiderio di Santoro di portare una ventata di novità nella televisione. Urbano Cairo, patron de La7 è definito da Santoro “un uomo attento ai conti. Ho grande simpatia per lui – aggiunge – non ha mai posto ostacoli ai miei programmi, mai limiti di alcun genere. Ho goduto di un potere e di una libertà senza pari”. Sì, ma… “ma Cairo bandisce la sfida dal suo orizzonte. E per affrontare le sfide ci vogliono soldi da spendere. E io voglio vedere se è vero che il pubblico si è allontanato dai talk show. Ed è per questo che ho deciso di riportare Servizio pubblico nel posto in cui è nato: la piazza cittadina”. Solo che questa volta non sarà il Palazzetto di Bologna, ma uno spazio aperto. In tutti i sensi.