Rifkin’s Festival: Woody Allen torna al cinema con un gustoso omaggio alla settima arte

di Prisca Civitenga

Oltre ai film premiati agli Oscar, ci pensa Woody Allen ad accompagnare la progressiva riapertura delle sale cinematografiche italiane con la commedia da lui scritta e diretta Rifkin’s Festival. È quello che serve ai cinefili, visto che il film è un appassionato e nostalgico omaggio al grande cinema europeo del passato in contrapposizione, secondo Allen, alla superficialità di molto cinema americano di oggi. Una produzione Spagna-Italia che vede coinvolte The Madiapro Studio, Gravier Productions e Wildside, distribuita nel nostro paese da Vision Distribution esclusivamente nelle sale cinematografiche a partire dal 6 maggio, mentre ancora non c’è una distribuzione negli Stati Uniti dove vige un clima di ostracismo verso il regista newyorkese, rinsaldato dal recente documentario Allen v. Farrow. Per questo a ottantacinque anni, Allen preferisce girare in Europa, dove riesce a trovare produttori e a lavorare con attori che non gli tirano fango addosso. Nel cast di Rifkin’s Festival vecchie e nuove conoscenze, a partire da Wallace Shawn, che ha lavorato sei volte con Allen, dall’esordio in Mahattan, e poi Gina Gershon, Louis Garrel, Elena Anaya, Sergi López e Christoph Waltz. Alla fotografia un altro fido collaboratore di Allen, Vittorio Storaro, che impreziosisce i paesaggi di San Sebastian, la cittadina basca dove è ambientato il film, e che ha visto l’anteprima mondiale proprio al Festival del cinema che porta il suo nome.

Il tutto inizia, manco a dirlo, con una seduta dallo psicanalista in cui il protagonista Mort Rifkin (Wallace Shawn) racconta del suo viaggio al Festival Internazionale del Film di San Sebastian al seguito della moglie, addetta stampa di cinema. Perfetto alter ego di Allen, Mort è un ex insegnante di storia del cinema, cinefilo incallito, sarcastico, pedante e un po’ agè, che cerca di scrivere il suo primo romanzo, ma ha aspettative troppo alte, puntando ad entrare nell’Olimpo della letteratura al fianco di Joyce e Dostoevskij. Insospettito che relazione della moglie Sue (Gina Gershon) con Philippe (Louis Garrel), il giovane e affascinante regista per cui lavora, non sia solo professionale, Mort decide di seguirla in Spagna e si ritrova nel colorato e civettuolo carosello festivaliero, tra artisti arroganti e giornalisti che vogliono solo cavalcare le mode, cene, cocktail e proiezioni che con la sostanza del cinema hanno poco a che fare e di cui Woody Allen riesce con arguzia a restituire tutto lo spirito effimero. Il bersaglio principale del sarcasmo di Mort sarà ovviamente il giovane regista francese Philippe, ma non per gelosia, piuttosto per una innata insofferenza verso un personaggio così presuntuoso e narcisista, che finge di essere impegnato, ma che in realtà sguazza nella mediocrità e che si dice sicuro di poter risolvere il conflitto israelo-palestinese con il suo prossimo film. Naturalmente la passione tra Sue e Philippe scoppierà e, mentre i due sono ufficialmente impegnati a lavorare, Mort avrà tutto il tempo per riflettere sul suo matrimonio e sulle grandi questioni della vita che non l’abbandonano mai. Anche lui, però, avrà la sua dose di romanticismo perché, da ipocondriaco come Allen, per risolvere i suoi dolori al petto, s’imbatterà nella dottoressa Jo Rojas (Elena Anaya), uno spirito affine, dolce, che ama il cinema d’autore e le conversazioni dotte. Mort cercherà di conquistarla, anche perché scopre subito che è malamente maritata con un pittore irascibile, panciuto bevitore e traditore seriale, un irresistibile Sergi López.

Al di là della trama abbastanza convenzionale, la vera delizia di Rifkin’s Festival sono le citazioni cinematografiche che popolano i sogni di Mort. Veri e propri remake in bianco e nero di scene cult dei capolavori del cinema intrecciati con la vita del protagonista. Così Quarto Potere di Orson Wells serve a richiamare l’infanzia di Mort, 8 ½ di Fellini l’atmosfera circense del Festival, Jules e Jim di Truffaut il rapporto a tre tra lui, la moglie e il giovane regista, Persona di Bergman mette a confronto la moglie e la dottoressa appena conosciuta, facendole, tra l’altro, parlare in svedese, perché Mort preferisce i film in lingua originale, e ancora, tra gli altri, sono citati Godard, Lelouch, Buñuel, fino a Il settimo sigillo, di nuovo Bergman, con il cameo di Christoph Waltz nei panni della Morte che però si stanca subito di giocare la celeberrima partita a scacchi e dispensa al nostro protagonista banali consigli per prolungare il suo soggiorno su questa terra.

Non è il Woody Allen più ispirato quello di Rifkin’s Festival, il regista resta nella sua comfort zone, riproponendo tutti i temi a lui cari con la sua solita sferzante ironia, ma ha il pregio di ricordarci che il cinema è sogno, e l’omaggio che fa alla settima arte è davvero gustoso, affettuoso, divertente e non solo nostalgico. Questo basta, e non è poco, per ritrovare la gioia di godere insieme di un film d’autore al buio di una sala cinematografica, così si augura lo stesso regista nella nota stampa di presentazione del film: “Realizzare Rifkin’s Festival è stata una grande gioia, soprattutto grazie a Vittorio Storaro e alla sintonia che ci ha legati durante le riprese. Spero che questo film, in un periodo così difficile, restituisca al pubblico il grande piacere di tornare in sala”.