Richard Gere è Franny, uomo fragile dai sentimenti forti e opera prima di Andrew Renzi. Incontro con l’attore americano a Roma

di Patrizia Simonetti

Franny è un uomo decisamente affascinante, e non solo perché ad interpretarlo è Richard Gere che a dispetto dei chili che ha dovuto mettere su per la parte, arriva in ottima forma all’incontro romano con la stampa dopo la proiezione di Franny, appunto, opera prima di Andrew Renzi (nessuna parentela con il nostro premier) che lo vede protagonista, dal 23 dicembre in 150 sale grazie a Lucky Red. Disponibile e sorridente, padrone invidiato di una serenità che solo un buddista oggi può mantenere, “divertito”, dice, dalla confusione che facciamo noi italiani, risponde con garbo e interesse alle domande sorseggiando tè.

Franny è ricchissimo, possiede un ospedale e nella sua città, Filadelfia (che è anche la città di Gere), lo chiamano il benefattore. Ha più o meno sessant’anni, portati benissimo quando è in buona, ma da tempo in buona non ci sta più, da cinque anni per la precisione. Da allora vive, o meglio si lascia sopravvivere, nella suite di un albergo di lusso più spesso incosciente che sveglio. Un sobbalzo lo scuote solo quando Olivia detta Poodle (Dakota Fanning), unica figlia dei suoi migliori amici Bobby e Mia (Dylan Baker e Cheryl Hines) morti in un incidente stradale mentre erano in macchina con lui, unico superstite, e che ha sempre considerato un po’ anche sua figlia, lo avvisa che sta per tornare. Franny infatti è capace di legami molto forti, quasi al limite, ma solo con chi ama e da cui si lascia amare. Così quando la ragazza, fuggita via dopo l’incidente dei suoi lasciandolo da solo a riprendersi dal dolore e dal senso di colpa torna in città con il marito Luke (Theo James) e pargolo in arrivo, lui si dedica completamente alla giovane coppia, anche troppo. Ad accrescerne il fascino e in qualche modo il mistero è il non sapere quasi nulla di lui, da dove arrivino tutti i suoi soldi, ad esempio, chi era prima che accadesse l’incidente che ha distrutto la sua vita, e molto altro:

“Un altro elemento che rimane misterioso è la sua sessualità spiega Richard Gere Nelle prime proiezioni che abbiamo fatto mentre eravamo ancora in fase di montaggio qualcuno chiedeva qual era la storia, e se Franny fosse eterosessuale o gay, ma noi non abbiamo voluto dirlo perché è irrilevante nei confronti della storia stessa e non è necessario. Abbiamo inoltre voluto evitare di mettere delle etichette, che sia psicotico o dipendente dai farmaci perché ha un problema, abbiamo voluto evitare di inserirlo in una categoria ben precisa, e ci sembrava giusto che non si conoscesse neanche il suo orientamento sessuale”.

Decisioni prese assieme al regista che è anche sceneggiatore della storia, Andrew Renzi, anche lui di Filadelfia che “ho sempre desiderato girare il mio primo film a casa” dice, e per cui Richard Gere non ha che belle parole:

“È stato lui a scrivere la sceneggiatura e a inventare questo personaggio che è molto affascinante, per cui sapevo già con chi avevo a che fare – racconta ancora Gere È vero che è al suo primo lungometraggio, ma aveva già diretto diversi corti e sicuramente conosceva bene i movimenti della macchina da presa e aveva un suo stile. Più stavo sul set e parlavo con lui e più mi convincevo che accettando quel ruolo avevo fatto la cosa giusta. Il nostro rapporto di fiducia è cresciuto piano piano e siccome era al suo primo film mentre io ne ho fatti più di uno, ogni tanto si rivolgeva a me per qualche consiglio. Alla fine siamo diventati amici, è un ragazzo di grande talento e sono molto fiero di ciò che abbiamo fatto insieme”.

Poi ecco che si parla dell’oggi, del momento che stiamo vivendo e lui, buddista, allievo e amico del Dalai Lama, ad auspicare un incontro tra lo stesso Dalai Lama e Papa Francesco:

“Parlerebbero di ciò di cui parlano sempre – immagina Gere – del loro interesse principale, cioè di come aiutare questo pianeta e i suoi abitanti, come rendere questo pianeta e noi che lo popoliamo più saggi, più compassionevoli, più gentili, meno violenti, questo probabilmente si chiederebbero. E si interrogherebbero su cosa dobbiamo fare per mettere fine a questa follia dilagante che si sta impossessando del mondo, forse cercherebbero una maniera per insegnare alla gente che lo abita un po’ di sanità mentale. Sono due persone assolutamente straordinarie per cui mi viene naturale pensare a un loro incontro, perché pur avendo una cultura totalmente diversa e rappresentando due popolazioni differenti, insieme potrebbero davvero fare tantissimo rivolgendosi al mondo intero e l’incontro di queste due culture e di queste religioni così diverse potrebbe fare solo del bene. E poi sono in questo momento al picco del loro potere, sono le più straordinarie e rispettate al mondo e una loro conversazione sul tema non potrebbe che fare del bene al nostro paese”.

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