Rabbia furiosa Er canaro nella versione horror di Sergio Stivaletti

di Patrizia Simonetti

A tre settimane esatte dall’uscita in sala di Dogman di Matteo Garrone, ecco un altro film ispirato alla vicenda del Canaro che nel 1988, quando il toelettatore di cani Pietro De Negri torturò e uccise il suo vessatore Giancarlo Ricci, sconvolse la popolazione capitolina e non solo. A firmarne la regia è Sergio Stivaletti, che ha voluto annunciarlo non appena lo ha fatto Garrone dal momento che aveva già la sceneggiatura in tasca da tempo ma nessuno voleva produrla, decidendo così di farlo per conto suo. Maestro degli effetti speciali, soprattutto in fatto di mostri, per registi come Dario Argento, Michele Soavi, Lamberto Bava, nonché regista lui stesso di horror come Maschera di cera e I tre volti del terrore, Sergio Stivaletti firma dunque il suo terzo lungometraggio intitolato Rabbia Furiosa Er Canaro, al cinema da giovedì 7 giugno con Apocalypsis e Paradise Pictures, che si fa presto a chiamarlo thriller o noir, mentre conserva a nostro avviso tutti i riferimenti e le caratteristiche dell’horror puro. A cominciare dal manifesto del film, è evidente, e poi dalla tensione che sale dall’inizio alla fine fuori e dentro il protagonista Fabio interpretato da Riccardo De Filippis, lo Scrocchiazzeppi di Romanzo Criminale, dall’ansia che accompagna ogni apparizione dell’ex pugile Claudio, no cattivo, ma cattivissimo, interpretato da un sovraccaricato Virgilio Olivari che ti aspetti faccia di volta in volta sempre di peggio, se possibile; fino ai non trascurabili combattimenti tra cani che più horror di quelli non ce n’è, con decine di carcasse dei poveri animali smembrati e dilaniati date alle fiamme. Orrore psicologico, e non solo. Nel ruolo della moglie di Fabio Romina Mondello che dice di non essere riuscita neanche a vedere il film.

Sono sempre stato affascinato dai film in cui il personaggio centrale dopo lunghe vessazioni ed ingiustizie trova finalmente la forza di vendicarsi facendosi giustizia da solo per poi oltrepassare un limite normalmente invalicabile sconfinando nella crudeltà pura – dice Sergio StivalettiL’idea di Rabbia Furiosa trae ispirazione da alcuni di loro ma soprattutto dal famoso fatto di cronaca degli anni 80 che ho voluto ora trasformare in un racconto di fantasia dai contorni onirici ambientato nel famoso quartiere del Mandrione dove ancora oggi restano le tracce della Roma Pasoliniana di Accattone e dove la miseria ha lasciato il segno poetico di una Roma in via di estinzione”.

Anche in questo caso come in Dogman dunque la vicenda di cronaca nera fa soltanto da ispirazione, almeno a detta del regista, che ha parlato di “rielaborazione del ricordo di ciò che sul caso si leggeva sui giornali e di come se ne parlava al bar”, e difatti la storia di Rabbia Furiosa Er Canaro non si svolge negli anni Ottanta alla Magliana ma ai giorni nostri, o meglio fuori da ogni tempo, al Mandrione, che è un altro quartiere di Roma, ma nel gran finale della tortura, per stessa ammissione del cosceneggiatore Antonio Lusci, tutto è stato riprodotto fedelmente secondo i verbali della polizia dell’epoca. E non si fanno sconti ai vari taglia e cuci, apri e chiudi, al sangue a fiotti che riempie il vascone della toletta per casi e dilaga sul pavimento e sulla faccia del protagonista oramai completamente devastato e trasformato dalla sete di vendetta e dalla rabbia, quella vera, quella che si trasmette dai morsi di cani infetti. Questo l’espediente della versione di Stivaletti del caso del Canaro: a un certo punto Fabio, dopo soprusi su soprusi da parte di Claudio, nonostante si fosse fatto otto mesi di galera al posto suo, che gli piomba anche in casa dissacrando la sua unica cosa pura cioè la famiglia, si graffia con una sorta di pettine per cani insanguinato, da qui l’infezione e il contagio, quello della rabbia, appunto. Inizia così, lenta e inesorabile, la sua metamorfosi da mite e tranquillo a insofferente e inquieto, con gli occhi che gli si iniettano di sangue e una strana attrazione verso i resti di cibi per cani nei cassonetti, quasi ad assolverlo per malattia, semmai non si riuscisse a farlo per esasperazione e legittima difesa.