Michèle viene stuprata. E picchiata. In casa sua. Da un uomo vestito di nero con il passamontagna che entra a forza cogliendo l’attimo in cui la donna apre la portafinestra del giardino per far entrare il gatto. Una violazione intima, brutale, violenta del suo mondo e del suo corpo ma ad andare in pezzi sembrano soltanto tazze e bicchieri che rovinano fragorosamente sul parquet quando lei, stesa a forza sul pavimento con lui sopra, tira il lembo della tovaglia forse nella speranza di aggrapparsi a qualcosa o forse trovare un’arma di fortuna.Tratto dal romanzo “Oh…” di Philippe Djian, arriva giovedì 23 marzo in sala con Lucky Red il nuovo film del cineasta olandese Paul Verhoeven, Elle, già premiato con due Golden Globe e due Cesar come miglior film e per la miglior attrice protagonista, un’intensa e coraggiosa Isabelle Huppert offertasi sin dall’inizio per la parte di Michèle nonostante regista e produttore, Said Ben Said, volendo fare del romanzo francese una versione americana, avessero da principio cercato a lungo altrove ma senza trovare nessuna attrice disposta a un ruolo così spiazzante, che potrebbe rivelarsi controverso e politicamente scorretto alla luce della lotta estenuante e infinita contro la violenza sulle donne e il femminicidio.
Già perché Michèle, una volta che lui ha finito e se n’è andato, si rialza, spazza via i cocci dell’accaduto e incurante del sangue che le cola lungo le gambe e dell’evidente macchia scura sulla sua faccia, riprende la sua vita di sempre tra il suo lavoro alla direzione e produzione della sua società di videogiochi, i suoi amanti, tra cui il marito della sua amica socia, il suo unico figlio che è tutto il contrario di lei, debole, influenzabile, sottomesso, con pochi scatti d’ira e mai, a dirla tutta, al momento e nell’occasione giusta. Ma non è certo finita là. Ex bambina additata come psicopatica proprio come il padre che un giorno di tanti anni prima ha preso fucile e coltelli e ha massacrato 27 persone, tra adulti e bambini, più sei cani e qualche gatto, così, giusto per ripulire il suo quartiere, Michèle non ha da allora un buon rapporto con la polizia, ma non è solo per questo che non denuncia il suo stupratore, pur immaginando di averlo ucciso, piuttosto lo cerca e lo trova, instaurando con lui una sorta di rapporto sadomaso che sfocerà in un finale tragico cui lei sorriderà, seppur impercettibilmente, comunque. Nonostante temessimo che non sarebbe arrivata viva alla fine del film tra stupri, ceffoni, spinte a terra e testate al muro, al termine della storia a restare in piedi è proprio lei, e sempre più in forma, oseremo dire, niente segni delle violenze, niente viso sfatto, niente anima devastata. “Sarebbe stato scontato, saremmo piombati nel melodramma e nella noia – ci dice Paul Verhoeven che ha anche svelato che il suo prossimo film sarà sulla storia vera di due suore nella Firenze del Medio Evo – è poi è più interessante e divertente sorprendere lo spettatore”. Divertente, esatto. Perché non ve l’avevamo ancora detto, ma in Elle si ride un bel po’ tra situazioni anomale, battute al vetriolo, dialoghi per nulla scontati, dove l’ironia viaggia, paradossalmente, di pari passo con la tragedia. Ed è proprio di questo che abbiamo chiesto conto al regista di Elle, e anche di Basic Instinct, ovvio, ecco quindi il nostro videoincontro con Paul Verhoeven: