My Sweet George: musica e yoga a teatro

di Patrizia Simonetti

L’entusiasmo rivoluzionario della Summer of Love degli Anni 70, lo spirito pacifista scaturito dall’incontro tra Oriente e Occidente e la contaminazione tra mondi e culture differenti fanno da sfondo alla riapertura dei teatri italiani nel 2021, in un momento in cui il settore artistico ha un grande bisogno di vitalità. A portare questa capacità di visione sono le storie di artisti come George Harrison, Elvis Presley e Ravi Shankar, la cui produzione artistica è fortemente influenzata dall’incontro con Paramahansa Yogananda. My Sweet George, tratto dal libro Yogananda mi ha cambiato la vita – Yogananda revolution (Ananda Edizioni 2018), è un live visivo, musicale ed esperienziale che svela il rapporto sottile e profondo tra Yogananda e la
beat generation, puntando i riflettori sulla contaminazione tra yoga, musica, politica e arte, ad inaugurare, sabato 29 maggio la stagione Vado a teatro!8a edizione del Teatro degli Scalpellini a San Maurizio d’Opaglio, nel novarese. Sul palcoscenico, diretti da Franco Acquaviva che firma anche la scrittura e la drammaturgia ed è in scena con loro, gli stessi autori del libro, i giornalisti e conduttor radiofonici Mario Raffaele Conti ed Elia Perboni, che spiegano: “lo yoga non è solo posizioni, lo yoga è una filosofia di vita che parte dal corpo per arrivare alla mente, al cuore, all’intera sfera del vivere, lo yoga cioè è cultura e all’insaputa di molti è entrato nell’immaginario collettivo attraverso la musica pop, la beat generation e gli idoli del rock. È entrato nella sensibilità dell’arte, ha catturato gli artisti, sempre attenti alle sperimentazioni, ai cambiamenti e all’apertura della mente. Il cantore di questa rivoluzione di costume è stato proprio George Harrison. E, cinquant’anni fa, con la sua My Sweet Lord ha portato l’India nelle case degli occidentali. Con My Sweet George portiamo questa rivoluzione a teatro attraverso un linguaggio multimediale, visionario e accessibile a tutti, per riscoprire un movimento che non si è mai arrestato“.

My Sweet George inizia con il risveglio di un uomo in un luogo che non riconosce: non ha più ricordi, non sa chi è. Ad assisterlo due personaggi  che a poco a poco, con l’ausilio di racconti e di immagini, lo aiutano a ricostruire la sua vita. Immagini e racconti che ci riportano in quella fase della storia occidentale in cui sembrò di essere sulla soglia di un grande risveglio spirituale diffuso: il movimento hippie, la Summer of Love di San Francisco, e soprattutto la musica e la scoperta delle tradizioni spirituali dell’India. Ci fu infatti un momento nella storia del rock in cui questa musica così terrena e sensuale sembrò ricercare  l’incontro con una dimensione spirituale a essa radicalmente opposta. Questo afflato prendeva corpo a partire dalla presenza concreta di alcuni Guru indiani che avevano scelto la terra americana per diffondere gli insegnamenti dei Veda. Per esempio, Paramahansa Yogananda e Bhaktivedānta Prabhupāda. Questo cortocircuito stimolò e accese non poche grandi personalità del rock mondiale; due esempi su tutti:  Elvis Presley (già, chi se lo sarebbe mai aspettato?), ma soprattutto George Harrison. Anche di My Sweet Lord, audace e riuscitissimo tentativo di far convivere gli stilemi della pop song con l’ispirazione al divino, e del suo autore, racconta questo spettacolo, nel cinquantenario della pubblicazione della canzone-mantra di Harrison.

Il giorno precedente la messa in scena di My Sweet George, e cioè venerdì 28 maggio, Mario Raffaele Conti ed Elia Perboni presentano la conferenza-spettacolo Pratiche quotidiane di felicità (come il titolo del loro secondo libro, Morellini Editore, 2021) che dà il via alla programmazione Triangolazioni di pensiero.