Maestro, al cinema la musica nata nei campi di sterminio

di Patrizia Simonetti

La musica ci salva. Ci salva dai momenti tristi, dagli attacchi di disperazione, ci salva quando ci sembra di non vedere più il fondo né la luce e spesso da quel fondo ci fa risalire e a quella luce ci permette di tornare. A volte ci salva la vita, dandoci una nuova opportunità, un obiettivo da raggiungere, una speranza in cui credere, e allora diventa un’ancora, un’isola, un’oasi, una nuova vita essa stessa, magari da non poter comunque vivere ma da lasciare agli altri affinché ci ricordino e vivano un po’ anche per noi e noi in loro. Maestro, il docufilm di Alexandre Valenti, protagonista il Maestro, appunto, Francesco Lotoro, racconta proprio questo, di come la musica abbia rappresentato la vita in un momento della nostra storia in cui la vita sembrava valere meno di zero e di come un uomo si sia impegnato con tutto se stesso, riuscendo perfettamente nel suo intento, a ritrovarla per farla ascoltare al mondo. Nei campi di concentramento la speranza era poca davvero, e poca l’umanità e la dignità che veniva lasciata a chi vi era rinchiuso il più delle volte per non uscirne più, ma la musica era tanta perché è dove la disperazione sembra infinita che la natura umana cerca ancora di più un aggancio alla vita e alla propria umanità fatta di sentimento, emozione e anima. In tanti, artisti noti e non, scrivevano musica, lo facevano di nascosto su supporti di fortuna, carta igienica, pezzi di carta, fazzoletti, una musica che rappresentava quella piccola parte di loro ancora in vita, una musica che non avrebbero però mai suonato e probabilmente neanche mai ascoltato.

Francesco Lotoro, musicista, pianista e direttore d’orchestra di Barletta, decide di andare a ritrovare quelle note di speranza disperata, quelle crome che sporcarono spartiti improvvisati come gocce di sangue disposte a sinfonia. Così inizia a girare città dopo città, campo dopo campo. “Un’intuizione – racconta Lotoro – che arrivò tra l’88 e l’89, inizialmente circoscritta alla produzione di musicisti ebrei nei campi di concentramento, poi apertasi all’intero fenomeno planetario dei lager, dal primo sorto nel 1933 a Dachau all’ultimo gulag staliniano chiuso nel 1953. Vent’anni di musica nata da artisti in prigionia, cattività, campi di concentramento, campi di sterminio, campi civili, campi di lavoro forzato, in tutti i luoghi in cui c’è stata o una privazione dei diritti umani o addirittura la totale abolizione, anni che hanno visto la Seconda Guerra Mondiale, la shoah e persecuzioni di ogni genere ai danni di ebrei, cristiani, civili olandesi e americani. Tanti sono i componimenti ritrovati, altrettanti sono quelli che, ahinoi, sono andati perduti”.

La sua storia e la sua missione sono prima finite in un libro scritto dal giornalista francese Thomas Saintourens e intitolato Le Maestro, poi pubblicato in francese, italiano, lingua ceca e ora anche in inglese. Qualche anno fa lo legge in Francia il regista Alexandre Valenti “tutto in una sera – ricorda – e ho pensato subito che fosse una storia incredibile da raccontare, così vado a Barletta a trovare Francesco Lotoro e parliamo per tre giorni su come farne un documentario che cominci dove è finita la storia di altri, per cercare la vita dove è stata fermata con la morte e l’orrore perché come lui stesso ha detto è questo che la musica rappresenta: la vita, un testamento, la parola di chi non aveva più parola né voce, un atto di libertà che quelle persone hanno lasciato in queste partiture. E questo documentario deve far capire che questa musica non è solo un ricordo di coloro che l’hanno creata, ma rappresenta il futuro”.

Maestro comincia con le immagini in bianco e nero dei treni e del Fuhrer, delle bombe e dei carrarmati nazisti, delle marce dei soldati di Hitler e delle bandiere con le svastiche, dei fucili spianati sui deportati e di uno spartito attaccato dal vento sul filo spinato di un campo di concentramento, immagine quasi paradossale che unisce libertà e prigionia, e poi di un’orchestra diretta dal Maestro Lotoro che probabilmente sta eseguendo proprio quella musica là…. Maestro Alla ricerca della musica nei campi racconta non solo la storia di Francesco Lotoro che ha recuperato e salvato dal dimenticatoio migliaia di composizioni di cui ne ha eseguite e registrate quattrocento perché “se questa musica non fosse suonata – dice – saremmo dinnanzi a un grave delitto: l’ingiustizia che ha dovuto subire il compositore non deve ripercuotersi sulla sua opera creata nata da un’esigenza fisiologica”; ma anche quelle dei diversi autori di quelle musiche, come quella dell’italiano Arturo Coppola che ha composto un concerto per pianoforte e violoncello per un amico ammazzato dai tedeschi; quella del compositore polacco Jozef Kropinski che del Lager di Buchenwald, nella sala dove i corpi venivano sezionati, scrisse più di 440 opere ma ne sono state ritrovate solo 111 perché molti spartiti li ha dovuti bruciare per scaldarsi durante la sua fuga; o quella del ceco Rudolf Karel che, ammalatosi, componeva nell’infermeria del campo di Terezin, dal quale non è mai uscito, scrivendo sulla carta igienica con il carbone vegetale e poi affidando la sua arte a un vigilante che la faceva arrivare alla sua famiglia, finché non vennero scoperti entrambi.

Presentato in anteprima nella sua Barletta, Maestro esce in sala lunedì 23 gennaio distribuito da Istituto Luce-Cinecittà con l’alto patrocinio dell’Unesco e in collaborazione con UCEI, l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Il 26 gennaio verrà presentato a Parigi nella sede dell’Unesco e sarà trasmesso alle 23 su Rai 3 e replicato la mattina dopo, e il 27 gennaio, nella Giornata della Memoria, messo a disposizione delle scuole.

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