Vita, morte e misfatti del Macellaio di Praga, così come veniva chiamato Reinhard Heydrich, ex ufficiale della Marina Militare tedesca dalla quale fu congedato con disonore per aver avuto rapporti sessuali con una giovane donna rifiutando poi di sposarla, abitudine che conservò anche dopo il matrimonio tradendo più volte la moglie ma ricattando al tempo stesso chiunque altro nel suo mondo militare facesse altrettanto. Hitler invece lo chiamava L’uomo dal cuore di ferro, il che la dice lunga oltre a far accapponare la pelle. L’uomo dal cuore di ferro, tratto dal romanzo HHhH di Laurent Binet, è dunque il titolo del film che ne racconta l’ascesa e la fine, scritto da Audrey Diwan e David Farre e diretto dal francese Cedric Jimenez, già in sala con Videa a ridosso della Giornata della Memoria che si celebra il 27 gennaio. Ma è anche, e ci piace dire soprattutto, la storia di due giovani combattenti della Resistenza Ceca in esilio, appartenenti a un gruppo addestrato dagli Inglesi e guidato dal governo Cecoslovacco, Jozef e Jan, che sacrificano la propria vita per l’Operazione Antropoide, missione che ritengono molto più importante di tutto, di loro stessi, del futuro che sognano e dell’amore che, come spesso e sorprendentemente accade, sboccia e fiorisce in tempo di guerra tra paura, fame, bombe e sogni che non si realizzeranno mai. “La storia è basata sull’idea stessa di resistenza – spiega infatti il regista – ed è un inno al coraggio di un piccolo gruppo di giovani Cecoslovacchi che portò a termine una missione impossibile”.
Per quanto poi divenuto tristemente noto per la sua durezza e il suo cinismo, probabilmente Reinhard Heydrich non sarebbe diventato quello che fu se non fosse stato cacciato dalla Marina e non avesse per questo covato e soppresso quintalate di rabbia, anche se per certe cose devi essere portato e quindi non avrebbe certo fatto il prete o l’assistente sociale ma un posticino tra le fila naziste l’avrebbe probabilmente trovato. E soprattutto se non e avesse incontrato la donna che sposò, la bella, bionda, determinata, ariana e fascista Nina che lo sceglie, lo indottrina per bene all’ideologia nazista e grazie ad un amico di famiglia, niente meno che Himmler, gli permette un’ascesa rapida quanto deleteria: si era iscritto al partito solo da due mesi quando Himmler in persona gli affidò l’incarico di direttore della nuova unità di spionaggio delle SS perché “ogni potere ha bisogno di uomini nell’ombra” gli dice, fino a diventare di lì a poco Reich Protector ed essere trasferito a Praga. Non gli ci vorrà molto ad essere completamente preso dall’ideologia e dal suo “lavoro” e finire per trascurare Lina cui si rivela ben chiaro di aver creato un mostro, ma un mostro vero, ma Hitler sempre innanzi tutto.
E fu proprio Reinhard Heydrich in un’esplosione di creatività che lo travolse nel gennaio del 1942 a inventarsi la “soluzione finale” per lo sterminio degli Ebrei, perché “l’eliminazione di un numero tra gli 11 e i 12 milioni di individui richiede un approccio sistematico ed una tecnologia avanzata al fine di un trattamento più favorevole allo sterminio di massa” dichiara in un’importante riunione di lavoro, il tutto tradotto in pratica in rastrellamenti, campi di concentramento e camere a gas. A tutto ciò si contrappone lo spirito patriottico, di libertà e di umanità dei partigiani, in particolare di Jozef e Jan, calati sul posto con i paracadute e con tutto il loro coraggio. L’uomo dal cuore di ferro è uno di quei film che, nonostante sai bene che è tutto vero, ti fa continuare a chiedere come sia potuto succedere, ed è un film che parla chiaro, non interpreta, non ammorbidisce o lenisce, c’è il male e c’è il bene che lo combatte, seppure costretto a farlo con le medesime armi, ma è chiaro e semplice da che parte stare, perché così dev’essere.
“I momenti culminanti della storia si sviluppano intorno a personaggi estremi, buoni o cattivi che siano – spiega Cedric Jimenez regista de L’uomo dal cuore di ferro – Josef e Jan sono due uomini coraggiosi e patriottici che rifiutano di accettare le barbarie in atto in quegli anni bui e la loro amicizia costituisce il pilastro portante di questa storia. Dall’altro capo di questa storia c’è l’incombente figura di Heydrich, un ex ufficiale militare che si unisce al partito Nazista diventando il più terribile di loro: la struttura narrativa del film separa questi due diversi percorsi, permettendoci di seguire anche la sua ascesa al potere. Accanto a lui c’è sua moglie Lina, appartenente ad una famiglia aristocratica ma che non godendo più di quel titolo nobiliare, è in cerca di riscatto. La mia ambizione, era quella di coinvolgere completamente lo spettatore immergendolo nella scena, in modo da trasmettere l’importanza, l’urgenza e la determinazione che i veri protagonisti dovevano provare per compiere quell’estremo atto di coraggio. Il film è stato girato su pellicola 35 mm, per dare ancora più forza all’immagine, e per meglio caratterizzare l’epoca in cui è ambientata il racconto”.
Ad interpretare L’uomo dal cuore di ferro è Jason Clarke, mentre sua moglie Lina è Rosamund Pike, Jack O’Connell e Jack Reynor danno vita a Jan e Jozef e Mia Wasikowska è Anna, la giovane parrucchiera e militante della Resistenza che, incaricata di occuparsi di Jan, se ne innamorerà al primo shampoo.