L’ultimo Paradiso, videoincontro con Riccardo Scamarcio, Gaia Bermani Amaral, Valentina Cervi

di Patrizia Simonetti

Gioca con il sogno di un altrove possibile e con il cognome del protagonista il titolo L’Ultimo Paradiso del nuovo film prodotto e interpretato da Riccardo Scamarcio, cosceneggiatore anche a quattro mani con il regista Rocco Ricciardulli che l’ha definito “storia passionale di amore e di anarchia, un film che non indugia dove viene fuori la nobiltà del contadino”. Da venerdì 5 febbraio su Netflix, L’Ultimo Paradiso è un bel film, fino alla fine, cioè, fino a poco prima del finale che lascia un po’ perplessi e che forse ne intacca in parte il valore complessivo ma che, naturalmente, non riveliamo.

Ciccio Paradiso (Riccardo Scamarcio) è un contadino del 1958 in un piccolo paese del sud d’Italia dove vige il caporalato e dove l’intera comunità si piega al volere e alle regole di Cumpà Schettino –  nome che sì ci ricorda qualcuno di altrettanto poco nobile – interpretato da un sempre più credibilmente cattivo Antonio Gerardi. Ciccio è sposato con Lucia (Valentina Cervi), una donna rassegnata alla vita alla quale non chiede nulla di più di quel nulla che le ha già dato, a parte il figlio Rocchino che da sette anni ama intensamente e con il quale la notte divide anche il letto, che tanto Ciccio a casa, la notte, non ci sta mai. Perché a Lucia vuole bene, e tanto ne vuole anche a Rocchino, ma l’amore, quello vero che toglie il respiro, lo trova soltanto in Bianca (Gaia Bermani Amaral) che è tutta l’opposto di Lucia, all’amico descrive come “non una femmina, ma la Madonna”. Bianca però è la figlia di Cumpà Schettino e la rabbia del suo padre padrone non lascia scampo.

L’Ultimo Paradiso è la storia di un sogno, quello di cambiare le cose, che Ciccio nutre fortemente sia per la sua comunità che per la sua vita che vorrebbe vivere lontano da lì, a Parigi magari, con Bianca al suo fianco. Lei per lui rappresenta lafreschezza, la gioia, la poesia di un vecchio grammofono tra gli alberi che accompagna i loro abbracci con il tappeto musicale di una canzone francese di cui non capiscono nulla, ma è bella lo stesso, rappresenta tutto ciò che poteva essere ma non è, la speranza. Ma “non c’è cosa più brutta che dare speranza a gente come noi che non ha niente – dirà a un certo punto il padre di Ciccio a suo figlio – fa più male che bene”.

Una storia, fatta di soprusi, violenza, vendetta cieca e amore, tanto amore, ispirata a un’altra storia vera realmente accaduta alla fine degli anni Cinquanta nel sud dove il regista è nato e cresciuto, il sud di Bernalda, nel materano: “un sud aspro e bellissimo che assiste con indifferenza ai drammi della sua gente, sovrastandola coi suoi silenzi – dice Rocco Ricciardulli – In campo l’antica lotta tra libertà e oppressione, tra giustizia e prepotenza. Ho cercato di raccontare il conflitto e la tensione, evocando alcune atmosfere western, che stanno nelle terre bruciate, nella caratterizzazione netta dei personaggi e nel modo che hanno di scontrarsi”. Ma è anche il sud di Riccardo Scamarcio, sempre più bravo soprattutto in ruoli aspri e un po’ selvaggi come quello di Ciccio, il sud della sua Puglia, della sua Trani, di cui riconosce, ne L’Ultimo Paradiso, i luoghi della sua infanzia. Il nostro videoincontro con Riccardo Scamarcio, Gaia Bermani Amaral, Valentina Cervi e Rocco Ricciardulli: