La Stanza, il thriller psicologico con Camilla Filippi, Edoardo Pesce e Guido Caprino

di Patrizia Simonetti

Un donna in abito da sposa in bilico su una grande finestra di una grande casa bella ma un po’ lugubre, sembra di un altro tempo, proprio come lei. Ha il trucco sciolto di lacrime, l’espressione assente, lo sguardo corrucciato e il dolore che ha dentro riusciamo persino a percepirlo. Una sposa cadavere ad alto valore simbolico, che indossa il giorno più bello della sua vita per l’ultimo giorno che vivrà. Chissà se il suono del campanello l’ha distratta oppure no, se quel salto nel vuoto senza più futuro l’ha compiuto un nanosecondo prima o se, vacillando e ritrovando rapidamente l’equilibrio, è scesa dal davanzale e barcollando con la faccia spiritata, ha aperto la porta al suo visitatore. E soprattutto, chi è quel visitatore apparentemente gentile e innocuo, in realtà un mostro che le chiederà il conto o un benefattore che forse vuole solo salvarla? Inizia così La Stanza, thriller psicologico di Stefano Lodovichi (Aquadro, In fondo al bosco, Il Cacciatore, Il Processo), con la sua musa e moglie Camilla Filippi, Guido Caprino ed Edoardo Pesce (già diretto ne Il Cacciatore), prodotto da Lucky Red e da lunedì 4 gennaio su Prime Video. Una donna, Stella, che per amore del marito ha tradito quello per suo figlio; un uomo, Sandro, che a sua volta tradisce e abbandona lacerandole l’anima; un altro uomo, ma così infantile, Giulio, riflesso futuro delle azioni di entrambi, che diventa padrone della casa e dei loro destini, pur essendone egli stesso il frutto. E la tavola, luogo di ritrovo da sempre della famiglia che condivide il pasto comune e parla e si racconta, qui assume un senso tragico e cupo proprio come la casa, costretta da Giulio ad essere quel luogo che in realtà per loro non è stato mai. La Stanza è un film duro che non scende a compromessi, dove nè i personaggi né i loro interpreti sono banali, sfaccettati, i primi, intensi i secondi.

L’idea de La Stanza arriva da un documentario che stavo facendo tre anni fa sugli hikikomori, i ragazzi che si chiudono in casa – racconta il regista –  poi il lavoro si è fermato e ho deciso di approfondire la tematica con questo film spostando l’attenzione sul conflitto figli genitori dal punto di vista d iun figlio un po’ particolare che vuole aggiustare a modo suo i problemi del passato per cercare di cambiare il suo  presente, il futuro e salvare la madre, un punto di vista particolarmente estremo che rende il film tosto, particolare, difficile e faticoso”. 

La non banalità e la sfaccettatura dei personaggi viene soprattutto dalla scrittura – spiega Guido Caprinoperché alla fine noi attori siamo quelli che danno il colore e fanno battere il cuore ai personaggi rendendoli vivi, ci mettiamo le viscere, che poi è ciò per cui facciamo questo lavoro, e cioè essere al servizio del personaggio. Ho amato tantissimo Giulio perché sentivo  in lui un grandissimo bisogno di riscatto, anche se non giudico né il personaggio né la storia, questo bisogno era veramente forte. La sua parte infantile è quella che ha invaso tutto nella sua creazione, si parla di infanzia, di ciò che più mi sta a cuore e tento di difendere, per cui fare questo film mi ha suscitato un grande sentimento. Poi naturalmente sta al pubblico trarre le proprie riflessioni soggettive”.

Il mio approccio a Stella è stato abbastanza complesso – rivela Camilla Filippi La Stanza inizia con la sua scelta di farla finita, e trovare e mantenere un equilibrio in tutto quello squilibrio durante l’intero arco della narrazione è stato difficile, il dolore è stato tantissimo,  è vero che abbiamo girato in diciassette giorni, che sono pochissimi, ma quando ho visto il film per la prima volta ho pensato che per diciotto giorni non ce l’avrei fatta.  Ho pianto tutte le lacrime del mondo e ho messo mano al dolore della mia vita, tornata a casa da set continuavo a stare male. Ma devo dire che scavare nel dolore e trovargli un’utilità, è una cosa che mi riempie di gioia e paradossalmente mi alleggerisce. E poi siamo stati ben guidati da Stefano che ha una visione molto chiara, che ci lascia libertà tenendoci stretti, ed è ciò che dovrebbe fare un regista”.

 “Da piccolo ho visto Nightmare e per un anno non mi sono specchiato, ecco il mio rapporto con l’horror – confessa Edoardo Pesce che presto vedremo su Sky come protagonista della serie soprannaturale Christian sempre diretta da Stefano Lodovichi – ma con questo film è stato diverso. Sono stato contentissimo di interpretare Sandro che potrebbe anche essere uno dei mostri di Risi ma meno comico, un ruolo pavido sul quale ho lavorato in modo approfondito sulla debolezza, sul non essere proprio pulito nel rapporto che ha con Stella, e ho sentito la sceneggiatura più come una pièce teatrale”.