La figlia oscura: Maggie Gyllenhaal porta al cinema la madre imperfetta di Elena Ferrante

di Patrizia Simonetti

La cosa che potrebbe restare più oscura de La figlia oscura è il titolo originale. Personalmente, e stranamente, trovo più adatta la versione americana The lost daughter, che ha tutto il senso assolutamente introvabile nell’altro. Anche perché il film – così come il romanzo da cui è tratto, La figlia oscura appunto di Elena Ferrante – che segna l’esordio alla regia di Maggie Gyllenhaal, racconta del perdersi di una ragazzina al mare, qualcosa che è capitato a molti di noi da piccoli. Eppure l’episodio scatena in Leda un’ansia insopportabile, sorta in realtà ancor prima dell’evento.  

Interpretata da una splendida Olivia Colman, Leda si è concessa una vacanza al mare da sola per un forte bisogno di pace e di serenità. Rispetto al libro, la località non è nel sud d’Italia ma su un’isola della Grecia. Purtroppo quelle che dovevano essere giornate rilassanti, in solitudine, fatte di mare, sole e riposo, si rivelano sin da subito colme di ore chiassose, fastidiose, disturbanti. Leda è tuttavia in qualche modo attratta da una giovane madre, interpretata da Dakota Johnson, e dal suo rapporto con la figlia, quella che poi si perderà sulla spiaggia. Entrambe fanno parte di di una rumorosa e inquietante famiglia allargata. A perdersi sarà poi in realtà la bambola cui la ragazzina è particolarmente affezionata, che per Leda assumerà un significato profondo e ambiguo, tanto da sentire la necessità di appropriarsene. Il mistero che evoca il titolo in italiano, La figlia oscura, è in realtà quello della sua anima e del suo passato. Leda ha un nodo doloroso e dolorante da sciogliere, un macigno di colpa che pesa sul suo cuore da spostare, e i ricordi della sua maternità che, recuperati dal profondo, si susseguono, scateneranno una tempesta che la riporterà nel bel mezzo di un vortice di terrore e di confusione.

Quando ho letto il romanzo La figlia oscura mi è tornato in mente qualcosa di molto strano e doloroso, ma anche di innegabilmente vero – rivela Maggie Gyllenhaal – Alcune parti che tenevo segrete della mia esperienza di madre, di amante, di donna in questo mondo, venivano pronunciate ad alta voce per la prima volta. E ho pensato a quanto potesse essere eccitante e pericoloso rendere collettiva un’esperienza del genere, non nella solitaria tranquillità che ti dà un libro, ma in una stanza piena di persone che la vivono insieme e si percepiscono. Come ci si sente a sedersi accanto a propria madre, o marito o figlia o moglie, mentre vengono svelati i sentimenti e le esperienze comuni che sono stati tenuti nascosti? Naturalmente si provano terrore e senso di pericolo nel relazionarsi con qualcuno che lotta contro cose che ci è stato detto essere vergognose o brutte. Ma quando quelle esperienze vengono mostrate sullo schermo, c’è anche la possibilità di sentirsi confortati: se qualcun altro ha questi pensieri e sentimenti, forse non sono sola. Questa è una parte della nostra esperienza che viene articolata solo raramente, e principalmente attraverso l’aberrazione, la disgiunzione o il sogno“.

Per chi non avesse letto il libro, La figlia oscura, premiato alla Mostra del Cinema di Venezia per la miglior sceneggiatura, e al cinema da giovedì 7 aprile, che vede in un cameo anche Alba Rohrwacher, lascia in realtà lo spettatore in attesa di qualcosa che non accade mai, e il finale rivelatorio ed esplosivo resta solo nella nostra testa. Il film è comunque apprezzabile, così come la fotografia. E gli va riconosciuto il grande merito di raccontare una madre imperfetta, con limiti e pensieri impuri, una madre che è stata sopraffatta dalla pressione della maternità e che si rivede in quella madre più giovane che forse, proprio come lei, non è e non sarà mai una madre perfetta.