Nel 1957 il paleontologo britannico Louis Leakey ricevette un finanziamento per studiare gli scimpanzé nel loro habitat naturale, esattamente nel Gombe National Park in Tanzania, il che sarebbe stato molto interessante per capire qualcosa di più sull’uomo primitivo e quindi sull’evoluzione della specie. Non gli piacevano le convinzioni dei suoi colleghi e volle mandare qualcuno che non avesse alcuna indottrinazione accademica che potesse influenzare la pura osservazione, pensò quindi alla sua segretaria: aveva 26 anni e si chiamava Jane Goodall. Ciò che accadde dopo ce lo racconta Jane, il documentario diretto da Brett Morgen e musicato da Philip Glass, in onda su National Geographic domenica 18 marzo alle 20.55.
Ad intervallare i racconti della stessa Jane Goodall oggi, antropologa ed etologa, le riprese del tempo che si credevano perdute e che invece furono ritrovare negli archivi di National Geographic nel 2014. Il grande amore da sempre nutrito da Jane nei confronti degli animali e una pazienza infinita riuscirono a farle compiere la sua missione che, come lei stessa racconta, era “avvicinare gli scimpanzé, vivere con loro ed essere accettata”. I primi scimpanzé che vide “stavano mangiando fichi da un grande albero e si chiamavano tra di loro facendo un gran chiasso” ricorda, mentre vediamo le immagini di quel magico momento. All’inizio però scappavano non appena scorgevano l’intrusa, ma lei non si è mai arresa, anzi: “questi contrattempi – ricorda oggi Jane Goodall – aumentavano la mia determinazione… e loro piano piano si abituarono a questa strana scimmia bianca…” Ci vollero mesi, ma Jane era così felice di aver realizzato il suo sogno di bambina, quello cioè di andare a vivere in Africa in mezzo alla natura selvaggia e agli animali, che il suo entusiasmo sicuramente facilitò il buon esito della missione. Scoprì presto che gli scimpanzé vivevano in gruppo, in comunità, si facevano la toletta, si stringevano le mani, avevano bisogno di rassicurazioni, si scambiavano sguardi, c’era il maschio alfa e una mamma con la sua cucciola, a tutti Jane dava dei nomi e sempre più si rendeva conto di quanto somigliassero agli uomini “in tanti modi diversi”. La sua scoperta più eclatante per l’epoca, e fu lei per prima a verificarlo, è che, ad esempio, fabbricavano degli utensili per raggiungere uno scopo, come sfogliare un ramoscello per infilarlo in un tana di termiti, tirarle fuori e mangiarsele con gusto, e anche che i cuccioli si comportavano più o meno come bambini pelosi e vivaci con i quali la mamma “usava la distrazione e non la punizione per educarli”. Scoperte che, fatte per giunta da una donna senza nemmeno una laurea, suscitarono non poche polemiche nel mondo accademico degli anni sessanta, così fu deciso di affiancarle un fotografo e regista che potesse documentare il tutto con le immagini: era olandese, si chiamava Hugo van Lawick e presto divenne suo marito. Le riprese inedite in 16 mm che vediamo in Jane sono le sue.
Se siete interessati e affascinati anche voi da questo mondo e da questi animali e volete informarvi su di loro e sui tanti progetti di tutela dei primati e dell’ambiente messi in atto dall’organizzazione internazionale non-profit fondata nel 1977 da Jane Goodall, grazie all’iniziativa di National Geographic Scopri il mondo degli scimpanzé. Fai una domanda al Jane Goodall Institute Italia, potete scrivere direttamente a info@janegoodall.it.