Intervista a Michele Soavi, regista de La Narcotici con tanta voglia di horror

di Patrizia Simonetti

Soavi2Michele Soavi è il regista de La Narcotici – Sfida al cielo, in onda su Ra1 il lunedì e il martedì in prima serata, ma anche di altre fiction di successo come Ultimo, Uno Bianca e Adriano Olivetti. Gli appassionati dell’horror però lo ricordano soprattutto come assistente di Lamberto Bava e Dario Argento, del quale è stato considerato l’erede, e per film come Dellamorte Dellamore ispirato al fumetto di Dylan Dog. Per ora l’horror lo ha messo un po’ da parte, ma sotto la cenere la brace cova pericolosamente…

Cominciamo dalla seconda serie de La Narcotici – Sfida al Cielo: cos’ha di diverso dalla prima?

Abbiamo mantenuto lo stesso stile e raccontiamo sempre fatti di cronaca, ma tenendo conto di alcune situazioni che appaiono ribaltate rispetto ai clichè, come quello dei ragazzini che si drogano e dei genitori che sono in apprensione, mentre a volte succede il contrario e sono i figli a preoccuparsi dei genitori che fanno uso di stupefacenti. C’è sempre un filo rosso che avvolge la trama anche perché è una storia romanzata, una fiction, un lungo film dove però diamo ancora più importanza a quello che è lo specchio di ciò che siamo.

E quindi ecco anche Mafia Capitale…

Senza volere abbiamo raccontato quella che oggi è definita la terra di mezzo, un mondo semicoperto che sta negli incarichi alti e raccontando Roma partendo delle radici del crimine, abbiamo incontrato storie che nostro malgrado ci sono appartenute, al di là della messa in scena, come quella criminalità organizzata romana fatta di collusioni. Quindi sì, abbiamo anche anticipato Mafia Capitale, perché la fiction è stata scritta u anno fa, del resto era tutto prevedibile.

E poi stavolta si punta sulle donne

Sì perché il commissario è morto, è saltato su una bomba a dieci minuti dall’inizio e tutti pensavano che si salvasse perché “figurati se muore il protagonista” e invece, colpo di scena… così non c’è più il maschio alfa e a capo della squadra c’è una donna.

Ovvero il vice questore Daria Lucente interpretata da Raffaella Rea (guarda la videointervista), ma anche sui giovani..

Soprattutto sulla storia di due giovani contrapposti, uno che ha scelto di fare il poliziotto infiltrato e l’altro che, suo malgrado, è invece il figlio La Narcoticidi un grande spacciatore, però diventano amici e quindi nasce un conflitto enorme per il ragazzo sotto copertura che non vuole tradire l’altro. È un mondo fatto di ragazzi di tutti gli strati sociali.

E il male e il bene quasi si confondono

Sono mimetizzati l’uno nell’altro in una miscelanza, non sai dove comincia l’uno e dove finisce l’altro.

Per noi amanti degli animali, al pitbull che si vede nella serie non accade nulla di brutto, vero?

Quello è il cane di mio figlio e no, non gli succede niente, anzi. Il cattivo di turno viene beccato proprio perché per amore del cane ha un momento di cuore e se lo va a riprendere dall’amico al quale lo aveva lasciato per fuggire.

Ma a lei, tra i maestri dell’horror, non dispiace aver abbandonato il suo genere?

Non l’ho abbandonato del tutto, io ho portato l’horror in televisione dopo averlo tradotto con le dovute cautele e la dovuta calligrafia, ma non ho mai tradito la mia natività, le mie origini, il mio immaginario. L’horror non è solo “er film de paura”, ma una costruzione visuale e visionaria. Io sono un po’ come l’acqua, prendo la forma di dove mi metti.

Un po’ lo scotto da pagare per essere in televisione…

Per me è un grosso vantaggio e un grande onore andare in onda su Rai1, riesco ad avere tantissimo pubblico. Certo, hai un’emozione che dura una sola serata, ma anche questo fa parte dello spettacolo. D’altronde a parte qualche serie straniera, l’horror in TV non c’è più.
E poi mi diverto un sacco quando giro le scene di uccisioni, di morti, di devastazioni, di incidenti e di sparatorie, mi sembra di tornare bambino, in qualche modo gioco.

Com’è cambiata oggi la paura?

Oggi non abbiamo più l’assassino mascherato, c’è un altro tipo di paura. I generi si sono mescolati, il giallo con l’horror e l’horror con il fantastico, e anche quello in qualche modo esprime una metafora del nostro stato esistenziale. Le paure di oggi sono quelle delle guerre, delle contaminazioni, delle malattie, della solitudine, del malessere, sono paure più profonde, più ancestrali per l’uomo e forse più interessanti da esplorare.

Anche la droga, che poi è il tema de La Narcotici?

Certo, perché poi droga uguale solitudine, emarginazione, un mondo parallelo da cui è difficile uscire, l’aberrazione umana, il gettarsi via.

I mostri ci sono ancora?

I mostri ci sono sempre stati, perché sono dentro di noi. Nel cinema horror negli anni Ottanta c’erano gli zombie, c’era l’assassino, e c’era il grande maestro Dario Argento che comunque aveva impiantato quello zoccolo duro sul modo di raccontare le storie. Oggi si sono raffinate, come se fossero state messe in un filtro.

Ma la voglia di fare un caro vecchio horror alla sua maniera non le viene mai?

Accidenti, ce l’ho nel sangue e prima o poi uscirà fuori. Intanto lo dissemino a piccoli pezzettini in quello che faccio. E poi sto preparando una storia sempre per Rai1 apparentemente blanda e leggera, ma poi anche no.

Ci svela qualcosa?

Racconta di una donna che va a fare il sindaco nella Locride, di più non posso dire. Il titolo provvisorio è Questo è il mio paese.

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