Intervista a John Dickie: lo storico inglese torna su History con Chiesa Nostra, analisi di una lunga relazione tra mafia e clero

di Patrizia Simonetti

Messe celebrate nei covi di boss latitanti, sacerdoti che testimoniano a favore di criminali, famiglie mafiose padrone di feste patronali e processioni religiose. Un rapporto duraturo e a tratti persino affascinante quello tra mafia e Chiesa, una situazione che però forse sta cambiando. Dopo Mafia Bunker e Sacro Denaro, lo storico inglese John Dickie torna su History, giovedì 28 maggio alle 21.00, con un nuovo speciale sulle connivenze tra criminalità organizzata e religione cattolica: Chiesa Nostra. Ne abbiamo parlato direttamente con lui.

Dickie, il suo racconto inizia dalla scomunica lanciata ai mafiosi da Papa Francesco il 21 giugno scorso a Sibari, che significato ha secondo lei?

La cosa più importante da capire è che il Papa non si stava rivolgendo ai mafiosi, perché un Pontefice che condanna i cattivi non è una notizia e su questo sono d’accordo tutti gli osservatori delle cose vaticane, ma si stava rivolgendo soprattutto alla Chiesa che ha questo lungo e strano rapporto di connivenza e di silenzio con il potere della criminalità organizzata.

Due i tipi di questo rapporto che si colgono in Chiesa Nostra, il primo è quello tra mafiosi e religione

E sicuramente dal punto di vista psicologico è proprio questo il lato più affascinante, questa religiosità del mafiosi che sono tutti devoti, tranne rare eccezioni come Tommaso Buscetta e Matteo Messina Denaro. Io sono stato in diversi bunker di boss mafiosi dove non mancano mai santini di Padre Pio e immagini della Madonna e questo fa capire il loro bisogno psicologico e fisiologico per la fede. La vita che fanno in cui uccidono e rischiano costantemente di farsi uccidere crea pressioni psicologiche cui forse la religione offre qualche risposta. Inoltre hanno anche bisogno di una legittimazione per sentire che loro uccidono non per semplice volontà di potere e avidità ma, come se eseguissero degli ordini, nell’interesse della collettività, mafiosa si intende.

E poi c’è l’altro rapporto, più concreto e politico, tra mafia e Chiesa che risale ai tempi della Seconda guerra mondiale

E che procura vantaggi a entrambi: la mafia soddisfa il suo bisogno di legittimazione, perché sappiamo che ha necessità di governare e di cercare consensi, e questo lo fa anche attraverso la religione. Il classico esempio è il culto del santo locale nel sud d’Italia attorno al quale si concentra la fede, che diventa quindi bandiera di appartenenza locale. Non a caso nelle processioni religiose si vedono sempre i poteri locali, come il sindaco e l’élite del paese, e il mafioso che ama mettersi accanto a questi poteri legittimi per mostrare che anche quello mafioso è un potere come gli altri.

E allora ecco anche gli scandalosi inchini del santo della processione, come Sant’Agata a Catania, o persino della Madonna, davanti alle case dei boss

Esattamente. E per questo al mafioso piace finanziare la confraternita che si occupa dell’organizzazione della festa e contribuire alle spese della Chiesa. Dietro tutto ciò c’è una storia lunga quanto la mafia stessa, ma per questione di tempi noi non abbiamo potuto tornare così lontano nel tempo, la nostra storia parte dal dopoguerra.

Quando la DC aveva i suoi bei vantaggi ad allearsi con i boss, come Michele Navarra di Corleone, contro il comunismo che avanzava, ma quel legame forte tra mafia, politica e Chiesa c’è ancora?

Che io sappia no, mi sembra difficile, ma il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri ci dice che secondo lui sì, pur non sapendo di casi concreti. Con la fine della DC il rapporto tra politica e Chiesa diventa più complicato, ma è dalla fine della guerra fredda che si scioglie il ghiaccio e le cose cominciano a cambiare. Già il maxi processo di Palermo iniziato nel 1986 con la costruzione dell’aula bunker ha intimorito la Chiesa che all’epoca stava cominciando a capire la pericolosità della mafia, ma l’unico giudice per la Chiesa restava e resta Dio e questo emerge in modo molto chiaro dalle nostre interviste: il prete colluso, ingenuo o intimorito che sia, si nasconde dietro lo stesso discorso: i mafiosi sono peccatori come gli altri, io di mestiere non faccio il giudice, mi rivolgo alla loro anima e stabilisco con loro un rapporto spirituale.

Così le ha risposto anche Padre Frittitta, arrestato perché andava a dire messa nel covo del boss Aglieri e non lo ha mai denunciato

E anche il cappellano del carcere di Reggio Calabria ci ha fatto lo stesso discorso, ma quando gli ho chiesto se ci fosse stato un solo ‘ndranghetista che grazie a lui avesse cambiato strada, lui è arrossito e ha risposto di no. Al prete non importa nulla che il mafioso continui a fare il mafioso. E il mafioso si sente giustificato perché pensa: io sono peccatore, ma lo è anche il poliziotto che ammazzo, non c’è differenza tra noi, siamo tutti colpevoli quindi nessuno è colpevole.

Ma non ci possiamo crederci che lo pensino davvero fino in fondo…

Io non lo so, bisognerebbe davvero essere Dio per guardare nelle anime delle persone, francamente non ho problemi a ritenerli credenti genuini perché hanno una fede vera, ma ovviamente la loro è una religione strumentalizzata, tagliata su misura sui loro bisogni, sia psicologici che ideologici.

Poi però, come vediamo in Chiesa Nostra, nel 1993 Giovanni Paolo Secondo ad Agrigento condanna la mafia, per arrivare all’anno scorso al decreto contro i mafiosi dell’arcivescovo di Monreale Michele Pennisi

Questa è una parte molto importante della storia che raccontiamo. La Chiesa è a una svolta e lo è dalle stragi del 1992 (dove morirono i giudici Falcone e Borsellino n.d.r.), ma stiamo parlando di vent’anni che nella storia secolare della Chiesa sono solo un attimo. Per la Chiesa è un cambiamento drammatico e velocissimo che sta vivendo in questo momento e che inizia lì, con quell’omelia di Giovanni Paolo Secondo che dopo 150 anni di mafia diventa il primo pontefice a menzionarne la parola con la presa di coscienza collettiva e con eventi drammatici come l’omicidio di Don Pino Puglisi nel 1993 e le bombe davanti alle chiese romane.

Quanto arriva di tutto ciò ai preti sul territorio?

Nelle zone ad alta densità mafiosa i messaggi non sono molto chiari, c’è ancora tanto lavoro da fare, ci sono dei preti che sono in questi paesi da una generazione e che sono imparentati con i mafiosi, sono cresciuti con loro nelle stesse scuole, le famiglie si frequentano. In queste circostanze è molto difficile denunciare la mafia, come ci ha detto Gratteri “bisogna togliere i preti da queste situazioni qua”.

Alcuni però se ne liberano da soli e sono l’altra faccia della medaglia, come appunto Don Puglisi, ma anche Don Panizza o Don Ciotti

E proprio Don Panizza ci ha detto che si sente meno solo adesso, ed è uno degli aspetti positivi della situazione attuale, mentre quando ha iniziato la sua attività e gli arrivavano le prime minacce, c’erano altri preti che gli dicevano “te lo sei andato a cercare”. Lo stesso discorso vale per Don Ciotti che all’inizio era una persona scomoda per la Chiesa, poi l’abbraccio con Papa Francesco è stato un segnale molto importante e molto forte. Ma non è una situazione che si risolve solo con i messaggi del Papa, bisogna anche passare all’azione con riforme e istruzioni concrete, come ad esempio quella di togliere o meno i sacramenti ai mafiosi o sul significato della scomunica lanciata da Papa Francesco. Per teologi ed esperti con cui ne abbiamo parlato, si tratta forse solo di un gesto retorico che dovrebbe essere formalizzato in qualche modo, con una bolla ad esempio, per altri invece è sufficiente che il papa lo abbia detto. C’è ancora molto spazio lasciato aperto alle varie opzioni.

Il Papa però qualcosa di concreto lo ha fatto, come mettere mano alla riforma dello IOR che di soldi di mafiosi pare ne abbia maneggiati parecchi

Non sappiamo esattamente quanti, ci sono ottimi indizi come nel caso Calvi o in quello di Vito Ciancimino, ma non abbiamo la documentazione per ricostruirne la storia completa perché appunto c’è il segreto bancario. Questo lo dico da storico, mentre come persona interessata alla lotta alla mafia sono molto contento di vedere eliminato il segreto bancario e di queste riforme finanziarie. Purtroppo i soldi sporchi volano via in fretta dalla banca vaticana che non è l’unico modo di riciclarli.

Come pensa che verrà accolto Chiesa Nostra in Italia?

Non lo so, ma sarà interessante scoprirlo. Inevitabilmente ci saranno le solite denunce di persone che il programma non l’hanno visto, ma lo accuseranno di mandare messaggi di parte, tribali e politici. La nostra voce è comunque quella di Don Panizza e di Don Ciotti, che sono molto critici nei confronti della Chiesa e delle posizioni che ha preso in passato, la nostra analisi coincide con le cose che ci hanno detto loro.

Sa, in Italia c’è pure lo Stato Vaticano…

Capisco, è come parlare male della monarchia in Gran Bretagna.