Intervista a Edoardo Sylos Labini: con il mio disco teatro riabilito Nerone, su di lui duemila anni di calunnie

di Genny De Gaetano

Nerone fa rima con pazzia. È scritto sui libri, insegnato nelle scuole. “Nerone? Ah, l’imperatore che ha incendiato Roma!” È diventato quasi un adagio, scolpito dal tempo. Ma la storia non è sempre vera verità. Nerone, duemila anni di calunnie, tratto dall’omonimo saggio di Massimo Fini, fa opera di profonda revisione su vita e opere dell’imperatore romano inghiottito dalla dannazione eterna, impietosa e falsa per molti aspetti. Da più di un anno lo spettacolo lo porta in giro per i teatri italiani, insieme ad Angelo Crespi, Edoardo Sylos Labini. 44 anni, l’attore e regista laziale prosegue anche stavolta con la sperimentazione del suo cosiddetto Disco Teatro che prevede l’uso in scena di una consolle da dj.

Pur in scena da oltre un anno, finalmente l’approdo a Roma, al Teatro Quirino dove resterà fino al 31 gennaio, deve essere fuori di dubbio da batticuore. Perché siamo praticamente a casa di Nerone!

Eh sì, Roma è sempre Roma, soprattutto per Nerone! È la sua Roma. Quindi l’emozione è fortissima.

Prima di Nerone, ha parlato di futurismo, di Italo Balbo, di D’Annunzio. C’è un fil rouge che unisce questi suoi lavori?

Sono personaggi che hanno subito un pregiudizio ideologico, politico e storico. Ce li hanno sempre dipinti in un certo modo, li abbiamo studiati a scuola in un certo modo e io cerco di raccontarli da un’angolatura diversa.

Anche con Nerone prosegue la sua sperimentazione con il disco teatro

Sono dieci anni che porto in scena una consolle dj, perché da questa consolle partono migliaia di suoni che rappresentano un’orchestra. Oggi il dj è come fosse un direttore d’orchestra, però io la contestualizzo. La musica non è solo accompagnamento, ma drammaturgia, da quella consolle parte lo spettacolo. In questo caso il nostro dj è l’animatore della festa che Nerone organizza per la sua morte nella Domus Aurea.

Nerone fu sostanzialmente una vittima perché andò contro i poteri forti del tempo. E da lì iniziò l’opera di dannazione storica. Un modus operandi che si è perpetrato nel tempo, fino ai giorni nostri

Lo spettacolo infatti è molto attuale, io vesto i personaggi in un modo contemporaneo perché poi la storia la scrivono i vincitori. Nerone andò contro la lobby aristocratica e latifondista che era rappresentata in Senato. E quindi dopo la sua morte fu calunniato. Perché Nerone, a causa dell’incendio di Roma di cui fu ingiustamente accusato, fece arrestare un gruppo di cristiani che sotto tortura ammisero di essere stati loro ad alimentare delle fiamme che si erano sviluppate nella Suburra. E tra questi c’erano Pietro e Paolo, da lì nacque la dannazione della memoria di Nerone.

Mai come di questi tempi Roma sta soffrendo, non dico qualcosa di analogo, ma certamente non vive un’età dell’oro

È una grande metafora perché la Roma di allora, che era considerata una Sodoma e Gomorra di degrado, sembra la Roma di oggi. Nerone cercò di portare cultura, arte e teatro. Fu un grande amante delle arti, fece riforme e leggi che ad esempio vietavano i giochi dei gladiatori e imponevano agli aristocratici di andare a teatro, vedere gli spettacoli e recitare. Era un imperatore artista, bizzarro, sopra le righe, sicuramente megalomane, ma senza dubbio un grande statista che purtroppo la storia ci ha dipinto solo come una macchietta che suona la cetra al Palatino mentre sotto Roma brucia.

Le chiedo, a questo punto, se Roma non abbia allora bisogno oggi di una figura come Nerone

Eh sì, ci vorrebbe veramente e non solo a Roma ma in tutta l’Italia. Noi siamo il Paese della cultura e dell’arte e dovremmo vivere di questo. In questo Nerone è stato un mecenate della ricerca della bellezza. Mi ha entusiasmato metterlo in scena e raccontare in modo umano. Certo non ne faccio un santino perché anche lui come altri imperatori si macchiò di omicidi, ma pochi sanno che fu un grande statista e appunto amante dell’arte.

Sylos Labini, oggi può dire di essere riuscito, dopo oltre un anno di repliche, a riabilitare in qualche modo la figura di Nerone davanti agli occhi della gente?

Sicuramente sì. Io lo dipingo in un modo umano e la gente dice: fammi studiare non solo Tacito e Svetonio, d’altra parte loro sono i due storiografi ufficiali che hanno parlato delle vite dei cesari, ma loro due scrissero di Nerone 70 anni dopo la sua morte ed entrambi rappresentavano la lobby aristocratica senatoriale che Nerone combatté, quindi gettarono un po’ di fango. La macchina del fango esisteva già all’epoca.

Insieme allo spettacolo dedicato a Nerone, in occasione del centenario dell’entrata in guerra dell’Italia sta portando in scena La Grande Guerra di Mario ispirato a La Grande Guerra di Monicelli

Ho debuttato ad ottobre proprio per il centenario, l’ho fatto perché dopo aver raccontato questi grandi personaggi mi interessava raccontare qualcosa dal basso. E Mario Rossi è un soldato semplice, testaccino, ed è uno di quei milioni di italiani che morirono per la Patria o non si sa per che cosa, in trincea nella prima guerra mondiale e di cui nessuno si ricorda, è il milite ignoto. Dopo Nerone, D’Annunzio e Marinetti mi interessava raccontare il soldato semplice, l’uomo qualunque che si immola per il suo Paese.

Qual è il suo sogno nel cassetto ‘teatrale’?

Torneremo a Roma il prossimo anno con La Grande Guerra di Mario, fine 2017 ho qualcosa nel cassetto ma ancora non la posso dire. Sicuramente proseguirò nella linea di questi grandi personaggi, è una mia linea editoriale. Sono spettacoli unici che non ripetono le cose fatte in passato. È importante che la storia venga restituita anche sul palcoscenico.