Intervista a Carlo Lucarelli, su Crime+Investigation con Profondo Nero: cerchiamo risposte alla metà oscura del mondo

di Patrizia Simonetti

Dalla vedova nera Milena Quaglini che fa fuori tre uomini in Lombardia, a Maurizio Minghella, il Travoltino della Val Polcevera che deve ammazzare per forza delle donne, meglio se prostitute, perché solo così si eccita; da Salvatore Avantaggiato che uccide anche quando esce di galera grazie ai permessi per buona condotta, al Landrù del Tevere che massacra e fa a pezzi sette giovani donne nell’Italia del fascismo e ne chiude i resti in valigia, fino alla saponificatrice di Correggio e al mostro di Merano. Un ritorno in TV in buona compagnia per Carlo Lucarelli che esordisce su Crime+Investigation da stasera, martedì 23 giugno, con Profondo Nero, 6 puntate da sessanta minuti prodotte da Betamedia per A+ E Networks Italy, firmate dallo stesso Lucarelli con Alessandro Patrignanelli e gli ex allievi di Bottega Finzione, la sua scuola di scrittura di Bologna. In uno scenario che sembra quasi somigliare a quella che potrebbe essere la mente di un serial killer, tra tubi e fili e manopole e porte che si aprono sul nulla, come l’ex centrale termoelettrica di Montalto di Castro, lo scrittore bolognese ci racconta le storie di sei spietati serial killer ma anche di tutto ciò che li circonda, alla scoperta del perché lo sono diventati e del come, forse, ciò si sarebbe potuto evitare.

Lucarelli, quindi serial killer un po’ si nasce ma soprattutto si diventa: c’è sempre un motivo se si finisce ad ammazzare la gente?

Purtroppo sì, e alcune cose che accadono potrebbero sicuramente essere prevenute: quando per esempio scopriamo all’improvviso che una persona con grossi problemi di disagio psichico e un arsenale in casa si è messa a sparare dalla finestra, è ovvio che si poteva evitare. Se ci conoscessimo e ci guardassimo un po’ di più, se ci facessimo un po’ più gli affari degli altri, anche se detto così suona strano, forse certe cose non succederebbero.

Come ha scelto tra le tante a disposizione queste sei storie?

Abbiamo preferito quelle che erano in gran parte sconosciute o poco note, che non erano già state raccontate in tantissimi altri modi, e che toccassero vari periodi storici, iniziando dal 1937 con Cesare Serviatti, quando la cronaca nera non si metteva neanche sui giornali in un regime, quello fascista, che negava che ci fosse qualcosa di sbagliato, mentre invece lì c’era un tizio che faceva a pezzi donne sole con la promessa di sposarle. Poi siamo andati avanti con Leonarda Cianciulli, altro caso emblematico di un certo periodo storico, e via così.

Ma perché ci piacciono tanto le storie nere che fanno paura?

Il mistero ci affascina sempre, è un meccanismo letterario e narrativo che funziona ogni volta, è come avere una macchina potente che ti porta dove vuoi: se io comincio raccontando una storia e creando suspence, è chiaro che chiunque mi sta ad ascoltare. Però se poi finisce tutto lì, abbiamo quei brutti programmi di cronaca e quei brutti romanzi gialli che conosciamo bene, se invece aggiungiamo l’altra componente e cioè che stiamo parlando di cose che ci sono e delle quali parlare è necessario per risolverle, ecco che allora ci interessano perché sono risposte che cerchiamo di dare e meccanismi che cerchiamo di mettere in scena per la metà oscura del mondo, che purtroppo fa parte della nostra storia: non esiste argomento in Italia di cui io non possa scrivere nelle mie trasmissioni o nei miei libri, dalla cucina al calcio c’è sempre un risvolto giudiziario, per cui eccomi qua.

Però  un conto è la curiosità morbosa, un altro è l’interesse costruttivo

Noi abbiamo sempre la metafora dell’incidente: se ce n’è uno in autostrada nella corsia di fianco è naturale che io per un secondo giri lo sguardo a vedere cosa è successo e è anche naturale che io guardi per vedere se c’è il morto, poi però torno a guardare avanti e penso che quando arriverò a casa farò controllare i freni: questo è un meccanismo virtuoso e questa è la forza del noir, uno dei motivi per cui la gente ci segue, perché poi va a casa e mette a posto le cose. Se invece mi schianto contro l’auto davanti perché continuo a guardare l’incidente, allora uno è stupido e quello è un meccanismo morboso.

Quello che poi magari sfocia nello sciacallaggio, come quando vediamo la gente che si fotografa davanti a luoghi di delitti

Ecco, con il programma che facciamo noi ovviamente corriamo il rischio di solleticare quel tipo di interesse o di pubblico, per questo abbiamo cercato di fare una cosa diversa e anche le risposte che vogliamo dare sono altre. Avremo poi dei riscontri sui social network e se qualcuno mi chiederà qual è il mio serial killer preferito, certo non gli risponderò.