Georgetown, opera prima di Christoph Waltz con Vanessa Redgrave

di Patrizia Simonetti

Se devi dire una bugia, dilla grossa, che più è grossa e più facilmente sarai creduto. Sembra essere il motto di Georgetown, opera prima da regista di Christoph Waltz (Oscar, Bafta e Golden Globe come Migliore Attore Non Protagonista per Bastardi Senza Gloria e Django Unchained di Quentin Tarantino) che l’ha scritta assieme a David Auburn e nella quale dirige ambiziosamente un cast composto ninete meno che da Vanessa Redgrave e Annette Bening, e che include se stesso nel ruolo del protagonista, Ulrich Mott, mitomane sofisticato e alquanto irritante nei suoi modi di fare che spaziano dal servilismo alla mania di grandezza, fino a raggiungere vette da delirio di onnipotenza modellandosi la realtà a proprio vantaggio arrivando a crederci egli stesso fino in fondo. E la cosa più inquietante è che si tratta di una storia vera, svelata nell’estate del 2012 dal New York Magazine in un articolo scritto da Franklin Foer intitolato The Worst marriage in Georgetown, ovvero Il peggior matrimonio di Georgetown, che è lo storico quartiere di Washington dove si è consumata la storia.

Andò così e così va nel film: Ulrich Mott (in realtà Albrecht Muth) interpretato dunque da Christoph Waltz, è un ambizioso quanto subdolo tedesco che decide di aver diritto a gloria e fama nell’ambito politico e istituzionale statunitense. Da tirocinante fin troppo zelante di un senatore americano, organizza la sua ascesa sociale sfruttando via via le conoscenze di sua moglie Elsa Brecht (Viola Drath nella realtà) interpretata da Vanessa Redgrave, una giornalista abbastanza nota nell’ambiente di 44 anni più grande di lui. Dopo un primo approccio a un ricevimento, che grazie al suo modo adulatorio e a tratti affascinante riesce a trasformare in una cena a due, non si arrende al primo no della donna di “approfondire” il rapporto perché sposata, ma attende con pazienza e inquietante lungimiranza la di lei vedovanza, condizione che in realtà la getta nella più immobile disperazione. Ma Ulrich è sempre affiancato da una certa dose di fortuna e di circostanze inaspettatamente favorevoli, senza le quali non sarebbe certo riuscito a ingannare nessuno, sin da quel suo primo piano che offre poi il là a tutta la vicenda. Immersa nella malinconia e solitudine più profonda, Elsa viene incredibilmente risvegliata da quel torpore luttuoso da una provvidenziale telefonata di Ulrich che lei deve aver preso come una sorta di mano testa dal destino, ed è così che alla fine pruncia il fatidico sì. Elsa diventa quindi per Ulrich il perno su cui far leva per arrivare a qualcuno che poi porterà a qualcun altro che a sua volta lo condurrà nelle grazie e nelle raccomandazioni di qualcun altro ancora. Fatto sta che in pochi anni l’impostore si costruisce l’immagine, assolutamente falsa, dell’uomo dalle mille risorse, indispensabile al paese quasi quanto le sue cene da lui stesso preparate piatto per piatto e servite nella propria casa ad ambasciatori, diplomatici, funzionari della Casa Bianca, generali, tutta gente importante quanto incredibilmente vittima delle sue manipolazioni, arrivando a fondare il “gruppo delle persone eminenti”, una sorta di ONG che avrebbe avuto il compito di consigliare il segretario delle Nazioni Unite da lui chiamato semplicemente, e impertinentemente, zio Kofi. Ulrich Mott convince persino tutti di aver portato a termine una pericolosa quanto determinante azione in Iraq, attento a farne coincidere l’esito con quanto accade nella realtà, e preoccupandosi di documentare il tutto con mail deliranti ma, chissà come, ritenute veritiere. Qualche sospetto di Amanda (Annette Benning), figlia di Elsa, docente ad Harvard di diritto costituzionale, non basta. A smascherarlo, probabilmente troppo tardi, dopo aver subito i suoi sbalzi di umore e anche diversi episodi di violenza, è proprio la moglie che però non ha il tempo di farne parola con nessuno, visto che viene trovata morta ammazzata in casa sua nelle ore successive a una di quelle assurde cene. Evento che in Georgetown viene scelto come punto fermo da cui andare avanti e indietro per raccontare l’intera storia, che alla fine vede Ulrich Mott accusato dell’omicidio di Elsa Brecht.

Sulla storia in sé, essendo vera, nulla si può dire se non farsi centomila domande su come un tale impostore possa averla fatta franca per tutto quel tempo. Sulla messa in scena cinematografica, per quanto il cast sia ineccepibile, c’è da dire che a tratti prevale un senso di lentezza, ripetitività e di noia e che quasi mai il fascino, più volte esplicitamente citato, del protagonista incarnato da Christoph Waltz emerge davvero nella sua interpretazione, risultando al contrario nei modi piuttosto fastidioso, viscido e palesemente contraffatto, così che appare davvero inverosimile che possa aver ingannato statisti e politici, giornalisti e intellettuali, e la stessa giornalista esperta destinata al triste destino di sua consorte: se si fosse presentato a noi in quelle modalità, non avremmo creduto a una sola parola. Georgetown arriva on demand con Vision Distribution martedì 19 maggio su Sky Primafila Premiere, Apple TV, Chili, Google Play, Infinity, TimVision, Rakuten TV, The Film Club e CG Digital.