Gabriele Lavia e I Giganti della Montagna, videointervista

di Patrizia Simonetti

Luigi Pirandello avrebbe voluto raccontare la morte del teatro, ma siccome la morte se l’è preso prima purtroppo, l’atto della morte del teatro non l’ha mai scritto e questa incompiutezza dell’opera ci dice che il teatro non morirà mai”. Così Gabriele Lavia nella nostra videointervista a proposito de I Giganti della montagna che porta in scena all’Eliseo di Roma fino al 31 marzo, sia come regista che come interprete nel ruolo del mago Cotrone. Dramma da palcoscenico ispirato a Lo storno e l’Angelo Centuno del 1910, una delle Novelle per un anno del drammaturgo siciliano Premio Nobel per la letteratura 1934, I Giganti della montagna, che sta forse tra il suo teatro nel teatro e il teatro dei miti, è l’ultima opera teatrale di Pirandello, rimasta incompiuta dal momento che morì nel dicembre del 1936 “nella notte in cui aveva finito di scrivere il secondo atto e si accingeva a scrivere il terzo” dice Gabriele Lavia. Per lui l’Eliseo è un teatro particolarmente importante visto che lo diresse “per molti anni e in epoca fortunata” ricorda Lavia, che si dice dunque bel felice di esserci in questa stagione del centenario. E se gli chiedi cos’è per lui il palcoscenico, ci pensa un attimo e poi ti risponde semplicemente: “il mio destino”. Lunga vita dunque al teatro, anche se la scenografia de I Giganti della montagna lo rappresenta distrutto, una sorta di non luogo come il mondo dell’oltre. Un mondo a parte, fuori, lontano, avvolto da un’atmosfera onirica e magica. In questo mondo sorge Villa La Scalogna, dove si verificano strani prodigi, e dove vive un mago eccentrico di nome Cotrone: è lui ad ospitare la contessa Ilse (Federica Di Martino) con la sua compagnia di teatranti sperduti, senza più un palcoscenico dove recitare e quindi essere sé stessi. Cotrone è Pirandello stesso, rifugiatosi nell’illusione del teatro come luogo assoluto e lontano dai giganti della montagna che il teatro lo vogliono uccidere, così come uccidono la poesia originaria, perché non sanno più chi sono e non vogliono saperlo. Poesia, teatro, arte e bellezza non possono quindi che continuare a vivere in un posto oltre, lontano da quello a noi conosciuto. La nostra videointervista a Gabriele Lavia: