Francesco Cataldo e la musica che non ha bisogno di parole

di Redazione

Francesco Cataldo con la sua musica cinematografica ci permette di guardare e non solo ascoltare: “le immagini sono le parole che mancano alla mia musica” afferma con il pudore di chi ci mette l’anima. Amante della semplicità e dell’eleganza mai sovraccarica di tecnicismi, Francesco Cataldo tocca le corde più profonde dell’anima. Le sue composizioni sono racconti, pagine di vita dove si sentono il profumo degli agrumeti di Siracusa e la salsedine di Ortigia. Francesco ha saputo andare alla ricerca dell’essenza della sua arte, con lentezza e momenti di deserto, attirando l’attenzione dei grandi del jazz internazionale quali Scott Colley, contrabbassista di fama mondiale, con il quale nel 2013 ha inciso Spaces. Dalla Sicilia a New York non è così semplice, eppure Francesco non solo ci è riuscito, ma ha portato gli americani a suonare la propria musica in punta di piedi, senza eccessi, senza forzature, convincendoli anzi con la sua semplicità. Dopo Spaces, abbandonata la chitarra elettrica, Francesco Cataldo con Giulia si affida alle chitarre classica e baritona, accompagnato dal grande pianista Marc Copland, Pietro Leveratto e il batterista in punta di bacchette Adam Nussbaum. Una musica, la sua, che mal si adatta a qualunque rigida definizione perché libera di essere, e alla quale è impossibile rimanere indifferenti. Oggi si racconta confidandoci i suoi progetti e in quale direzione stia andando la sua ispirazione.

Dopo la fase “elettrica” di Spaces, ci hai regalato con Giulia una nuova fase completamente acustica, dove la protagonista indiscussa è la chitarra, quella classica e quella acustica baritona. In che modo ha conquistato il tuo cuore?

Dopo la dimensione sofisticata e enfatica della fase elettrica, ho avuto l’urgenza dello svuotamento e della semplificazione, del passaggio quindi del suono elaborato dell’elettrico alla semplificazione delle corde di nylon solo amplificate che mi mettono a nudo. Giulia è un ritorno a casa, come se mi fossi spogliato del superfluo. Rappresenta la mia essenza. Lì non ci sono effetti o scuse e nessun inganno. Una ricerca della lentezza, perché se si parte all’avventura con la fretta e l’ansia della scoperta di nuovi mondi, a casa si ritorna con pacatezza, assaporandone l’avvicinamento passo dopo passo. Il suono di chitarra classica e di chitarra acustica baritona in Giulia è il frutto di una lunga ricerca, non solo tecnica (corde, set up…) ma anche e, soprattutto, introspettiva. Come il cantante cerca per anni la sua voce interiore e fisica, lo strumentista dedica la sua vita alla ricerca del suono che più lo possa “rappresentare” all’esterno, al mondo, al pubblico che ascolta.

In Spaces hai suonato la chitarra elettrica, in Giulia la baritona e acustica con sonorità intime e introspettive. Quale sarà il prossimo percorso di Francesco Cataldo?

Io azzarderei un’avventura al piano solo, che seguirà in modo naturale la mia evoluzione. Questo per me è un passaggio naturale, il compositore che suona il piano da compositore. Io metabolizzo lentamente, ma credo che come l’alternarsi delle stagioni, sboccerà verso la primavera. È una parte di me ancora inespressa che deve venire fuori e deve farlo così, in modo intimo.  Vorrei che fossero come piccoli racconti brevi, dei piccoli quadretti e immagini che non prevedano divagazioni, quelle che i pianisti amano fare diluendo i temi e allungando il brano. Un disco minimale con inediti e miei pezzi ri arrangiati per piano solo.

Questi brevi racconti sono già scritti o li coccoli ancora nel cuore?

Ho un sacco di temi che hanno l’allure delle colonne sonore, che non sono rientrati in Giulia e che ho tenuto lì, da parte, per me. In qualche modo ripropongono i momenti quando sono sono a casa al piano e vorrei che ne conservassero il fascino. Vorrei rispettarne la natura, senza forzarli a diventare qualcosa che non sono. Rappresentano un angolo di pace, molto intimo. In quei momenti non cerco la perfezione, ma voglio poterci giocare tirando fuori quel che mi si agita dentro. Vorrei che questo nuovo disco fosse esattamente questo. Un incontro, libero da schemi, leggero e fruibile proprio come una raccolta di racconti brevi… in musica.

Pianoforte e chitarre che ruolo hanno per Francesco Cataldo?

Le chitarre mi hanno impegnato moltissimo, ho studiato tanto. Il pianoforte rappresenta il mio alfa, è da lì che sono partito e il mio essere compositore è lì che si ritrova. La chitarra mi affascina, anche se la ritengo essere più limitante, non permette, infatti, di esprimersi liberamente come il piano. Il contatto con le corde mi affascina, mi strega, ma il piano mi riporta sempre alla mia anima, a casa. Le chitarre elettriche sono a riposo, la classica e la baritona sono le mie compagne di viaggio. Il pianoforte però è il posto più comodo di casa, il mio rifugio. Lo strumento con il quale ho un’affinità ancestrale. Al piano, la mia anima si riposa, è il mio back home. Il suono delle corde è il canto delle sirene, le mie dita possono con le corde trasformare i suoni e creare delle magie. Quando suono il pianoforte dialogo, pacatamente e in modo intimo, come con una compagna di vita, contrariamente alle chitarre che, come amanti bizzose, mi attirano a sé col loro canto.

In un prossimo futuro, ti piacerebbe sperimentare qualcosa che ancora non hai fatto?

Il mio sogno sarebbe di poter collaborare con Sting, credo che alcuni dei miei brani, se potessero avere le parole, sarebbero perfetti per lui. Se poi parliamo di strumenti, ho nel cuore un amore speciale per il liuto che credo sia lo strumento a corde più bello in assoluto. È l’antenato della chitarra, ma è molto piccolo e mi riporta ad atmosfere magiche e meravigliose. Spero di potermici dedicare seriamente e poterne esplorare le potenzialità. In ultimo, ma non meno importante, spero di poter fare quel tour che attendo da tempo negli States dove Giulia è in rotazione radiofonica a Boston, Chicago, New York e Kansas City, portando un po’ della salsedine di Ortigia anche là…