Fernanda Wittgens è una donna straordinaria che ama l’arte e le persone. Sin da bambina resta affascinata dalle opere custodite nella Pinacoteca di Brera dove la porta il padre, in particolare dal Cristo Morto del Mantegna, con tutta quella sofferenza che sprigiona e quella prospettiva che “sembra proprio qui davanti a noi” dice Fernanda al papà. Fernanda è lì che vuole lavorare da grande e ci riuscirà, sarà l’eccezione femminile. Farà dunque carriera dove voleva fare carriera e sarà la prima direttrice della prestigiosa galleria milanese. Poi però iniziano a soffiare i venti di guerra, arriveranno le bombe e le leggi razziali, e Fernanda diventerà un’eroina, salvatrice d’arte e di vite.
Primo ruolo da protagonista assoluta per Matilde Gioli in Fernanda, il film TV diretto da Maurizio Zaccaro in onda su Rai 1 martedì 31 gennaio e presentato oggi in Rai nella Giornata della Memoria, a raccontare della forza e della generosità di una donna che metterà in pericolo la sua vita e sacrificherà la sua libertà per salvare le opere d’arte dalla distruzione e soprattutto tante persone perseguitate dai nazisti. Come il professor Paolo d’Ancona, ebreo, al quale Fernanda deve tutto. E allora comincerà da lui per poi andare avanti senza esitare mai, prima di essere fermata proprio da qualcuno che voleva aiutare. Del resto lei il dolore lo conosceva bene dopo aver perso un padre e un fratello.
Ci saranno due uomini nella sua vita: Giovanni, interpretato da Eduardo Valdarnini, un ragazzo che di arte non sa nulla, ma ha un cuore grande nel quale ci sarebbe spazio anche per Fernanda, se solo lei volesse; e Hans, interpretato da Christoph Hulsen, un giovane tedesco conosciuto in Pinacoteca in tempo di pace, colto e amante dell’arte e dell’Italia, e pure degli italiani e della loro “gioia di vivere”, rivela a Fernanda, invitandola per un tè. Quel tè che insieme non berranno mai. Dopo anni di scambi epistolari sempre più affettuosi, Fernanda lo incontrerà in una situazione tragica, e lui non sarà più così gentile con lei. “Cara mamma, sempre ti ho detto che io davo alla famiglia quanto potevo, ma mai avrei sacrificato ad essa il mio pensiero e i miei ideali. Non si può e non sarebbe giusto tradire se stessi neppure per gli affetti più cari…” scriverà Fernanda alla madre dal carcere di San Vittore nell’ottobre 1944…
Fernanda è un film che omaggia l’indipendenza e il coraggio femminile, il valore salvifico dell’arte, le sofferenze di tutti i deportati e gli assassinati in quegli anni di dolore e vergogna. E alcune scene, dove gruppi di fuggitivi, famiglie con bambini, madri disperate, fuggono tra i boschi o nascosti nei camion verso un confine che vuol dire salvezza e sopravvivenza, sono identiche a tante immagini che vediamo oggi di migranti sfruttati e in fuga dalla guerra, come noi allora, proprio come noi. Come si fa a non vederlo?
“Esistono fra le pieghe della nostra storia, eventi nascosti che per il loro straordinario impatto umano muovono ancora grandi emozioni – dice il regista – per questo oggi, in un’epoca altrettanto buia e drammatica come quella che stiamo vivendo, abbiamo voluto riportare fra noi Fernanda. Perché è proprio del suo esempio che l’umanità ha oggi un estremo bisogno. E lo facciamo con il pensiero rivolto ad un altro grande artista milanese, Giorgio Strehler, quando il giorno dopo la strage di Piazza Fontana disse agli attori del Piccolo Teatro: ‘Che cosa possiamo fare noi gente di teatro? Alla mortificazione di non poter opporre, in momenti simili, un qualsiasi gesto utile, di fronte alla dolorosa impotenza del teatro, o più ampiamente dell’arte, di fronte alla violenza e alla follia, l’artista può solo sforzarsi di continuare a fare bene il proprio lavoro’. Fernanda è quindi una storia che ha richiesto d’essere narrata con il dovuto rispetto, perché oltre alla vicenda personale di questa coraggiosa donna milanese, il film ora realizzato può diventare anche una splendida occasione per raccontare Arte e Bellezza come uniche armi possibili contro guerre insensate, orribili stragi e devastazioni. ‘L’arte è una della più alte forme di difesa dell’umano’ diceva Fernanda Wittgens“. Le nostre videointerviste a Matilde Gioli e Christoph Hulsen: