Romana di nascita, cosmopolita d’adozione, si legge nella sua biografia. Elena Bonelli, artista a tutto tondo, praticamente poliglotta, cantante, attrice, autrice, regista, ambasciatrice della cultura italiana e della canzone romana nel mondo, ha la sua città nel sangue e continua a promuoverne musica e tradizione in ogni modo e in ogni luogo. Ha persino organizzato un concorso che fonde tradizione e modernità della canzone romana intitolato Dallo stornello al rap di cui vi abbiamo ampiamente parlato e a tal proposito vi ricordiamo che il termine per iscriversi scade il 31 agosto.
Perché per lei “attualizzare” la grande arte è quasi una missione. Così la incontriamo al Todi Festival, mercoledì 26 e giovedì 27 agosto al Teatro Sala Jacopone alle 21, con Elena Bonelli interpreta Brecht, spettacolo dedicato al grande poeta e drammaturgo tedesco, con la regia di Patrick Rossi Gastaldi e la direzione musicale di Cinzia Gangarella, a testimoniare quel pezzo di storia tra le due grandi guerre che ha segnato il mondo e l’umanità intera e ad “attualizzare” il pensiero brechtiano contestualizzando i suoi capolavori, in musica e non, nell’era contemporanea, legandoli alla cronaca attuale dei nostri giorni, anche semplicemente leggendo, tra un pezzo e l’altro, articoli di giornali. Perché la storia, come la vita, si ripete, e scoprirlo e dimostrarlo è un attimo. Così come non vedere nella società di oggi quella de L’opera da tre soldi dove il denaro rende tutti uguali, criminali, onesti e accattoni?
In scaletta le canzoni più belle di Brecht, “squarci teatrali” senza troppi fronzoli che possano allontanare l’attenzione da quel connubio per lei da sempre fondamentale e vitale che è quello tra parole e musica e in questo caso tra Bertolt Brecht e Kurt Weill, una collaborazione che in fondo non durò più di tre anni, che però bastarono a lasciare un segno profondo nel teatro del Novecento. Vuota la scena, solo didascalie raccontate e da Elena Bonelli interpretate, recitate e cantate.
Da La ballata della vivificante potenza del denaro a quella della schiavitù sessuale, da Filastrocca popolare ad Alabama song, passando per La moglie ebrea e Nannas Lied, raccontando di Jacob Apfelbock che “uccise suo padre e sua madre, li chiuse tutti due nel guardaroba e restò nella casa solo lui”; e di Marie Sanders che “un bel giorno le han tagliato i capelli e le han messo un cartello al collo ed una camicia… perché a Norimberga si puniscono le donne che vanno a letto con un uomo che non sia di razza ariana”; e di Mackie Messer perché “lo squalo, ha denti e li porta sul viso. E Macheath, ha un coltello. Ma il coltello non si vede”. E anche della sguattera Jenny dei pirati che “oh signori, voi mi vedete asciugare le posate, rifare i letti, e mi date tre spiccioli di mancia e guardate i miei stracci e questo albergo tanto povero e me – dice – ma ignorate chi son io davvero”, fino a Surabaja Johnny che “all’inizio pensavo fossi carino e gentile – dice la sua donna – finché non ho fatto le valigie e sono venuta via con te. Ed è durata due settimane finché un giorno mi hai preso in giro e mi hai anche picchiato”.
Non ci sarebbe quasi bisogno di leggere i giornali…