Crescendo: quando la musica non basta a vincere l’odio

di Patrizia Simonetti

La musica può fare tanto. Ma non tutto. Non riesce alla perfezione l’esperimento del Maestro Eduard Sporck, famoso direttore d’orchestra tedesco in pensione, chiamato a metter su una filarmonica composta da giovani palestinesi e israeliani e prepararla per un concerto in nome della pace. Lo racconta Crescendo #makemusicnotwar il film di Dror Zahavi, regista israeliano che si è ispirato alla West-Eastern Divan Orchestra creata da Daniel Barenboim e Edward Said, al cinema giovedì 27 agosto. Dapprima scettico sull’iniziativa propostagli dalla convincente Karla De Fries (Bibiana Beglau), donna d’affari e filantropa, in occasione di nuovi negoziati di pace tra Israele e Palestina in Alto Adige, con l’intento di poter poi aprire la prima scuola di musica in Cisgiordania, alle prime difficoltà Sporck (Peter Simonischek) trasforma il suo incarico professionale in una vera e propria missione, abbandonando la sua idea fissa di perfezione artistica in favore di un più importante sentire comune, sentire la musica, si intende, e dimenticare l’odio. Perché anche lui ha la sua storia alle spalle, una storia di famiglia di cui non va fiero, e l’odio sa bene cosa sia. Spiccano i due primi violini, Layla (Sabrina Amali), palestinese, per la quale quel concerto rappresenta l’occasione della vita, quella che le porterebbe rispetto e indipendenza, e Ron (Daniel Donskoy), israeliano, così ansioso di mostrare il suo talento, leader loro malgrado delle opposte fazioni; e i giovanissimi Omar (Mehdi Meskar, il Malik di Skam Italia), palestinese, sostenuto dal padre che sogna per lui un futuro migliore, e Shira (Eyan Pinkovitch), israeliana, che suona il corno francese: Romeo e Giulietta, la tragedia nella tragedia.

Ci provano i ragazzi a convivere tra loro, ognuno con il proprio obiettivo e un unico sogno: fare musica e vivere di musica. Ma non si può vivere fuori dal mondo, non basta baciarsi sott’acqua come in un altro universo, né cedere il passo al violino più bravo anche se appartiene al tuo nemico, e non basta neanche insultarsi gridandosi in faccia a vicenda ciò che ad ognuno di loro brucia dentro, una sorta di terapia d’urto che sembra inizialmente avere i suoi effetti, ma poi tutto torna come prima. Crescendo ci lascia tuttavia con un barlume di speranza quando i ragazzi, divisi da una simbolica parete di vetro che li separa senza però togliersi alla reciproca vista, senza poter negare, dunque, gli uni l’esistenza degli altri, intonano un bolero disperato e perfettamente armonioso, che parte piano e poi, in un progressivo e potente ed emozionante crescendo, esplode e poi si chiude improvviso. Restano gli sguardi lucidi, i pensieri che probabilmente non oltrepassano quel vetro, i se e i forse, ma tutto, di lì a breve, tornerà come prima, gli uni a ricordare con dolore l’Olocausto che ha sterminato le loro famiglie e la loro speranza riposta nelle terra promessa, gli altri a rivendicare l’appartenenza a quella stessa terra dalla quale sono stati cacciati, costretti ad abbandonare le loro case e le loro radici, ridotti a esuli e privati di ogni libertà. La musica, l’unica cosa in comune. Ma forse non basta.

Anche tra i giovani attori del film, quelli israeliani e palestinesi “sono emersi dei conflitti piuttosto pesanti – racconta Zahavi – ci sono stati dei momenti difficili e alcuni non li dimenticherò mai. Ma nonostante i pregiudizi che esistevano all’inizio, hanno trovato il modo di andare d’accordo molto facilmente. Non direi che sono diventati amici, non credo esistano ancora rapporti d’amicizia tra di loro oggi, non ne sono sicuro, ma credo che tutti abbiano portato via con sé un messaggio importante: si porteranno dietro il fatto che Palestinesi e Ebrei, per qualcosa come sette o otto settimane, hanno vissuto insieme. E forse si renderanno conto che è possibile vivere insieme se si ha uno scopo, se soltanto si riescono ad ignorare le difficoltà”.