Christoph Hulsen, il tedesco della fiction italiana debutta al cinema. La nostra intervista

di Patrizia Simonetti

Segni particolari: bello e con uno spiccato accento germanico. Se in una fiction italiana c’è bisogno di un tedesco, state certi che sarà lui, Christoph Hulsen: lo abbiamo visto in Don Matteo, Vivere, Ris, Il tredicesimo apostolo, Un passo dal cielo, Un posto al sole, Il candidato. E presto lo vedremo per la prima volta anche al cinema nell’opera prima di Maurizio Losi, una commedia intitolata Amo la tempesta, accanto a Nando Paone, Maya Sansa e Tony Sperandeo. Intanto Christoph Hulsen si diletta con corti d’autore e insegna anche inglese e tedesco in un’azienda russa di antivirus nel centro di Roma dove l’abbiamo incontrato

In ogni fiction italiana dove c’è un tedesco, quello sei tu…

Nel 2012 ne ho girata una anche in Kenia, Il paese delle piccole piogge, con Margareth Madè e Giorgio Lupano: facevo un sicario che lavorava per la mafia e che stranamente doveva essere tedesco. Però in un episodio di Nebbie e delitti con Luca Barbareschi ho fatto un moldavo e
e ne I liceali 3 ero un insegnante finlandese.

A breve il tuo debutto sul grande schermo in Amo la tempesta di Maurizio Losi sui cosiddetti cervelli in fuga…

Sì, anche se il film è visto dal punto di vista dei genitori che non riescono a far tornare a casa i figli che per loro sono ancora dei bambini, padri e madri che si sentono abbandonati e incontrano l’autista di uno scuolabus che è Nando Paone, anche lui con un figlio che vive in Germania, e lo convincono a rapire tutti i loro ragazzi per riportarli in Italia. Ed è lì che il film diventa grottesco pur restando realistico. Poi ci sono i tedeschi, come il direttore dei vari centri di ricerca e il suo assistenti, e lì arrivo io: mentre i vari scienziati italiani spariscono, io indago per capire che cosa sta succedendo, una sorta di investigatore che tenta di trovare un legame tra loro, unica minaccia al progetto dei loro genitori di riportarli a casa.

Più facile fare la TV o il cinema?

La Tv è più semplice perché per fare qualcosa al cinema che sia più di una comparsata o di uno che guida un taxi devi già avere un nome, soprattutto se come me puoi fare solo la parte dello straniero, preferiscono sempre uno molto conosciuto.

Intanto però hai girato vari corti, l’ultimo a Malta ed è Friend or Foe per la regia di Shirley Spiteri, già presentato in vari Festival nel mondo e speriamo arrivi presto anche in Italia…

Avevo già girato un corto sulla seconda guerra mondiale, Il sarto dei tedeschi di Antonio Losito che nel 2014 ha vinto il premio del pubblico al Terra di Siena International Film Festival. Ma Friend or Foe è un lavoro a cui tengo moltissimo. Mi sono trovato molto bene a Malta e soprattutto con la regista, mi sono sentito davvero in famiglia. Anche perché la storia l’ha scritta suo marito, il suo socio è il direttore della fotografia e l’assistente era la sua fidanzata fa l’assistente. Anche se il paese è piccolo le produzioni ultimamente aumentano perché le tasse sono basse e le location bellissime.

Come mai hanno chiamato proprio te?

Perché nel 2010 ero già stato a Malta a girare Sei passi nel giallo, un film per la TV di Lamberto Bava, e ci sono stato per un mese, così ho conosciuto il direttore del teatro nazionale che poi avrebbe avuto una piccola parte nel film. Quando Shirley Spiteri ha detto che cercava un attore che parlasse inglese e tedesco, lui si è ricordato di me e mi ha proposto. È bello che qualcuno si ricordi di te dopo quattro anni ed è stata la mia fortuna.

In Friend or Foe sei tu e un altro soldato entrambi nascosti e armati in un luogo sotterraneo a contendervi una bambina parente del Fuhrer…

Io la devo proteggere mentre lui vuole riportarla ai tedeschi perché sua madre vuole tradire Hitler e la bambina può essere oggetto di un ricatto. Entrambi però non sappiamo chi siamo e non ci fidiamo, è quello il senso di tutto. Io per primo capisco che lui non è inglese ma tedesco, per cui è un mio nemico perché io in realtà lavoro per gli inglesi che hanno vinto la guerra. Abbiamo girato in un vero comando segreto della seconda guerra mondiale che si trova ancora oggi nella roccia proprio sotto La Valletta nella roccia e che è stato restaurato pochi anni fa. Ed è dove durante la seconda guerra mondiale si sono realmente incontrati Eisenhower e Roosevelt, ovvero americani e inglesi, per progettare la battaglia contro i fascisti e i tedeschi in Sicilia.

A a te come tedesco non ha fatto un certo effetto?

In realtà tutto questo ci è stato raccontato quando eravamo già sul posto e mi è sembrato di ricordare qualcosa dai racconti di mio nonno, così tornato in Germania per Natale ho fatto un po’ di ricerche: mio padre era nato nel 1924 e aveva 53 anni quando sono nato io, aveva fatto la seconda guerra mondiale e io avevo in casa delle lettere che lui aveva mandato a sua madre dal fronte. Leggendole ho scoperto che era di stanza ai piedi dell’Etna, per cui fu davvero coinvolto in quella battaglia progettata proprio là dove io settant’anni dopo ho recitato il ruolo di un suo nemico ed è stato bellissimo, come un cerchio che si chiude, una sensazione molto forte.

Tu sei uno che si fida?

Adesso che vivo in Italia tendenzialmente mi fido di tutti, anche perché se vivi all’estero e ti chiudi non imparerai mai ciò che l’altra cultura ti può dare. Perché per quanto io mi sia subito sentito a casa e mi trovi molto bene, mi rendo comunque conto che quella italiana è una cultura completamente diversa dalla mia, la gente è più affettuosa e meno distante che in Germania, anche se magari a volte può arrivare ad essere un po’ invadente.

Sei in Italia da molto tempo?

Da 11 anni, avevo solo 26 anni quando sono venuto qua. L’Italia la conoscevo perché con la mia famiglia venivano in vacanza sul lago di Garda. Poi sono andato a Londra a vedere un festival di film italiani, tra cui quelli di Ozpetek e altri molto romantici, e ho deciso di frequentare un corso di italiano a Firenze e poi un laboratorio nelle Marche. Così si è creato un legame molto forte con l’Italia, mi sono fatto degli amici e finiti gli studi di recitazione a Londra ho trovato un contatto con un’agenzia italiana e sono venuto qua.

Quando hai deciso di voler fare l’attore?

Quando ero in Danimarca dove ho fatto un corso che ti introduce nel mondo dei cinema: 100 ragazzi di 20 paesi diversi in un paesino sperduto di campagna a fare cortometraggi. Li scrivi, li monti, li reciti, e capisci cosa fa per te e io ho capito che la mia strada sarebbe stata la recitazione. Poi però ti ritrovi nel mondo reale e diventa tutto più complicato.

Che film e che ruolo ti piacerebbe fare?

A me divertono molto le commedie e i ruoli comici. In Un posto al sole facevo il punk tedesco che era comico, nella comicità c’è una spontaneità che mi libera e così evito di pensare troppo al personaggio. Invece nella soap opera Vivere facevo l’americano, era melodrammatica e poco logica, con un colpo di scena dopo l’altro: in 13 puntate ho detto per quattro volte “ti voglio sposare” e per altre cinque il contrario, ma anche questa può essere una sfida, motivare in modo realistico delle sceneggiature che sembrano fuori dal mondo. Ma la cosa più bella sarebbe fare un film semplice che parla di quotidianità. Comunque l’importante è credere in quello che fai.

Hai mai detto no a qualche proposta che non ti convinceva?

Sì, l’ho fatto, pensando che non mi sarei divertito, poi chissà se ho fatto bene.

Cosa fai nel tempo libero?

Karate e yoga e non è uno strano accoppiamento come potrebbe sembrare. A Londra lo yoga faceva parte dei nostri studi per renderci più consapevoli del nostro corpo. Il karate lo faccio da 8 anni e sono in preparazione per cintura nera. La cosa più importante è che attraverso il karate ho trovato la mia famiglia qua in Italia, compagni che per me sono come fratelli, e poi la consapevolezza che ti dà: nel karate anche se non combatti con un’altra persona lo fai con te stesso perché per imparare devi andare oltre agli ostacoli del tuo carattere. Io ad esempio che tendo al perfezionismo, ho imparato che c’è sempre tempo per migliorare e questo lo riporto anche nella vita: la meta non è solo arrivare ma anche la strada attraverso la quale la raggiungi.

Mai progettato di tornare in Germania?

Ci sto pensando…