Blade Runner 2049, il mondo oscuro dei replicanti trent’anni dopo

di Patrizia Simonetti

Sono passati trent’anni da quando il “ritiratore” di replicanti Rick Deckard è fuggito con Rachael, anche lei tra i robot quasi perfetti creati dalla Tyrell Corporation, lasciandoci con il dubbio che anche lo stesso Deckart, ovvero Harrison Ford nel ruolo che probabilmente lo ha segnato nella vita ancor più di Indiana Jones, fosse uno di loro: ricordate la storia del sogno (o innesto?) dell’unicorno e dell’origami? Dubbio che il regista di quel primo cult del 1982, Ridley Scott, ci risolse qualche anno dopo affermando con decisione che sì, lo era. Ecco, questo è il tema che riprende dominante anche in Blade Runner 2049, il sequel che salta di tre decade da quella prima storia, ma che ad essa resta legato come da un cordone ombelicale. E no, non intendiamo fare spoiler, del resto stavolta ce lo ha chiesto il regista in persona, Denis Villeneuve, perché è anche nostra idea personale che sarebbe davvero un peccato visti i continui risvolti e colpi di scena della storia, ma se leggete tra le righe qualcosa potete intuire. O forse no, troppo, come dire, fantascientifico…

Parlavamo di primo cult perché anche Blade Runner 2049, di cui vi avevamo già anticipato l’anno scorso e finalmente in sala da giovedì 5 ottobre con Warner Bros. Entertainment Pictures, lo diventerà, non potrebbe essere altrimenti. Il film è lungo, vi avvisiamo subito e vi consigliamo di passare alla toilette e di mandare giù un boccone prima di sedervi in sala perché dura una cosa come 163 minuti, che tradotto in ore ne fanno due più 43 minuti. Bella prova, ma tranquilli, passano in fretta. Perché il film è proprio bello, e le cose belle scorrono veloci. Purtroppo. Dunque, dicevamo, niente spoiler, però qualcosina si può dire. Ad esempio che la Los Angeles, e quindi il mondo, del futuro ancor più futuro non promette nulla di buono: siamo infatti ancora nel buio fumoso e cupo di trent’anni prima, in una metropoli grigia e oscura illuminata solo da grandi insegne colorate al neon e da enormi ologrammi pubblicitari. Ma con qualche botta d’arancione se esci dal centro. Come dire, non c’è speranza di miglioramento, inquinamento e sovraffollamento continueranno a distruggere il mondo anche per i prossimi trent’anni… però almeno ogni tanto nevica. E forse da qualche parte potrebbe ancora sorprenderci un battito d’ali e di vita. E poi ci sono ancora i replicanti e con i loro stessi problemi di allora, come sfruttamento e maltrattamento, e solo perché non hanno un’anima. O almeno così dicono. Eppure…

Il nuovo Blade Runner, ovvero cacciatore di replicanti da “ritirare”, cioè da far fuori, stavolta non ha un nome vero, almeno non a inizio film, perché lo sappiamo subito che è uno di loro, e il suo nome è un codice, K con tanti numeri e barre dietro, ed è interpretato da Ryan Gosling che, catapultato dal mondo rosa e azzurro di La La Land a quello nero e brumoso di Blade Runner 2049 non balla certo svolazzando nel cielo stellato ma lotta e tira pugni, e a volte si fa male davvero. E si innamora, pure lui, anche se lei vera non è. Ma del resto, chi può essere mai certo che ciò che amiamo e apprezziamo e desideriamo esista davvero nella realtà e non sia invece una nostra proiezione del mondo che vorremmo? E il desiderare di essere qualcun altro non è forse un sentimento che accompagna anche molti di noi in questo nostro tempo? E la speranza nel futuro non si chiama ancora vita? Magari detta così non è molto chiara, ma andate a vedere il film e ne riparliamo. Che ne vale la pena.

In questi trent’anni comunque qualcosa è cambiato. In peggio, per lo più. Ad esempio un tipo strano, con gli occhi opachi e dal coltello facile ha preso possesso della Tyrell e ambisce al replicante perfetto, simile agli umani in tutto e per tutto, a cui non manchi nulla, insomma, né dentro né fuori, e per costruirlo ha bisogno di qualcosa di cui K è ben consapevole; e soprattutto ha bisogno che i vecchi replicanti vengano eliminati. K ha una capa che è Robin Wright, dura e senza scrupoli, se non saggia, prudente; e comunque alla fine una mano gliela dà, a suo modo. Lui invece di scrupoli se ne fa quasi subito, perché uccidere replicanti costruiti va bene, ma oltre non se la sente proprio di andare. E poi ha dei ricordi veri (o sono innesti ma innestati con il cuore?) Nel cast anche Ana de Armas, Sylvia Hoeks, Mackenzie Davis, Carla Juri, Lennie James, Dave Bautista e Jared Leto. E naturalmente Harrison Ford. Perchè a volte tornano. Soprattutto se li vai a cercare.