A Quiet Passion, la ribellione interiore di Emily Dickinson

di Patrizia Simonetti

Come si può scrivere di ciò che non si è mai vissuto? Questa è la prima domanda che ci è venuta in mente guardando A Quiet Passion, il film di Terence Davies che ne firma anche la sceneggiatura sulla strana vita di Emily Dickinson, amata poetessa statunitense che come molti artisti, e non solo della penna, è stata consacrata postuma, e che ha continuato a ronzarci in testa per ore. Magistralmente interpretata dall’ex Miranda di Sex and the City Cynthia Nixon, certamente cambiata da allora e da quel ruolo brillante e disinibito che le ha regalato la popolarità, sta proprio nella sua intensa interpretazione il punto di forza del film, in sala con Satine da giovedì 14 giugno, che per quanto impeccabile nella ricostruzione dei luoghi e dei tempi e nella cura dei dialoghi, soprattutto quelli stretti e ricchi di ironia e sarcasmo tra la Dickinson e l’amica Vryling Buffam (brava anche Catherine Bailey che la interpreta), dove peraltro la Buffam prende una pista alla poetessa in fatto di scaltrezza e prontezza di battuta, scorre lento e a tratti un po’ pesante tra le stanze illuminate della fioca luce delle lampade con la telecamera che, altrettanto lentamente, indugia e carrella a lungo su oggetti tetri e tristi posti mobili antichi di legno scuro come vecchi monili fuori moda.

Ma tornando ai dubbi iniziali, ci chiedevamo, appunto, come Emily Dickinson potesse rinchiudere nei suoi versi sentimenti che lei stessa si vietava di provare in nome di un pudore chiamato Dio che, nella severa e bigotta scuola della sua gioventù, era dipinto come oscuro e punitivo e che pretendeva che a lui dedicasse, come le altre sue compagne, la vita e i pensieri tutti. Contraddizioni che erano tutta la sua vita, almeno da quel che vediamo in A Quiet Passion: la ribellione che si attribuisce alla Dickinson, a parte quella di non inginocchiarsi in salotto durante le preghiere o di non vestire di nero dopo la morte del padre, era una ribellione interiore, statica, ferma, senza nessun passare all’azione, poco disturbante se non nelle conversazioni tra le quattro mura domestiche che mai e poi mai avrebbe abbandonato.Teneva a volte testa al padre (Keith Carradine), ma solo fino a un certo punto che quando lui diceva basta era basta, così come con il fratello Austin (Duncan Duff) che giunta all’apice dell’esplosione di rabbia si costringeva a tornare indietro per amore e rispetto. L’unica con cui probabilmente si sentiva al medesimo livello era sua sorella Vinnie (Jennifer Ehle) oltre all’amica Vryling di cui sopra, che alla fine, pure lei, ribelle e anticonformista, si è sposata comunque.

Lei però questo no: mai avrebbe lasciato la sua casa di Amherst, in Massachusetts, e la sua famiglia. Per questo, e non per altro, Emily Dickinson si è privata di un uomo fino alla fine, e non che non abbia avuto corteggiatori, come si chiamavano a quei tempi, sempre rispediti al mittente con una sorta di acidità che rasentava la presunzione, per poi ovviamente pentirsi dei suoi bruschi modi subito dopo. L’unico uomo di cui in A Quiet Passion la vediamo innamorata è il reverendo Wadswort (Eric Loren), peraltro sposato, che manco il tè prendeva ma solo acqua calda e la moglie peggio ancora, ne tè né limonata per non offondere Dio. Che tristezza. Un amore peraltro platonico nato solo dopo qualche incontro in chiesa e ascoltando i suoi sermoni, per il quale Emily non ha mai lottato, rinunciandovi al contrario tra le lacrime alla notizia della sua partenza e addossando la colpa di una mancata corrispondenza da parte dell’uomo alla sua non bellezza fisica.

A Quiet Passion la racconta così Emily Dickinson, una donna imperfetta, piena di contraddizioni, a tratti quasi ipocrita, caratteristica che lei stessa condannava, una poetessa che parlava del mondo senza averne visto una minima parte, che declamava l’importanza della donna al pari dell’uomo fermandosi alle sole parole, che nulla faceva per vivere delle sue convinzioni, sempre sottomessa al padre, anche da adulta, tanto da chiedergli il permesso di scrivere di notte, nel silenzio più totale della grande casa; senza un slancio verso un atto davvero rivoluzionario, senza la curiosità di un viaggio per conoscere davvero il mondo perché per lei il mondo era la sua famiglia, o la passione di un amore da vivere davvero, nel corpo e nel cuore. Vederla rappresentata così, che magari lo era davvero, ci ha comunque lasciato un po’ tristi, e poi a riflettere sulla contraddizione che è già nel titolo, A Quiet Passion: non c’è passione quieta, la passione è forza, impeto, agitazione, azione. Altrimenti è solo un film.