28 anni dopo, videoincontro con Danny Boyle: volevamo un horror che parlasse anche di famiglia

di Patrizia Simonetti

“Volevamo che il film sorprendesse, che non attirasse solo i fan dell’horror, ma che parlasse anche di famiglia e dell’impatto di un trauma su di essa”. Danny Boyle risponde così alla nostra domanda durante l’incontro stampa tenutosi a Roma su 28 anni dopo, sequel della saga sulla diffusione del virus della rabbia, inaugurata dallo stesso regista britannico nel 2002 con 28 giorni dopo – e cioè il tempo in cui il protagonista era stato in coma e non aveva quindi nessuna idea di cosa lo aspettasse al suo risveglio – cui nel 2007 seguì un terzo film intitolato 28 settimane dopo diretto però da Juan Carlos Fresnadillo.

Al regista di Trainspotting – lo chiamerò sempre così visto l’impatto che ebbe su di me di quel capolavoro del 1996 – avevamo domandato se fosse consapevole dell’effetto devastante sullo spettatore dell’unione di qualcosa di spaventoso e raccapricciante e di qualcosa di assolutamente struggente e commovente nella stessa scena, cosa che si ripete più volte nel corso di 28 anni dopo, e che ritengo sia la cosa più sorprendente, per usare la sua stessa parola, della pellicola, che ha già pronto un ulteriore secondo sequel e si cercano fondi – parole sue – per chiudere con un terzo.  

La storia, dopo un breve ma fondamentale richiamo al passato, riprende, come da titolo, a quasi un trentennio da quei fatti, e cioè dalla fuoriuscita del virus della rabbia da un laboratorio dove si proettavano e sperimentavano armi biologiche. Chi ne viene colpito, si trasforma in uno zombie assetato di sangue che non ha più alcun controllo su sé stesso. Si sperava che con il tempo gli infetti si estinguessero da soli, ma non è andata così. Una piccola comunità di sopravvissuti è però riuscita ad isolarsi, costruendo il suo piccolo e strano mondo su un’isola collegata alla terraferma da una strada per lo più sommersa dall’alta marea. Nelle ore in cui emerge, viene percorsa da coraggiosi esploratori e intrepidi cacciatori di mostri: vanno là, fanno quello che devono fare, e tornano alla base prima che l’acqua la copra di nuovo. E fare questa cosa vuol dire anche diventare un uomo. O almeno così la pensano da quelle parti.  

Non è però tutto solo bianco o solo nero: tra attacchi violentissimi, incontri con creature che di umano hanno ormai ben poco, fughe in preda al panico e una paura continua con la quale bisogna imparare a convivere, i sentimenti non sono morti, l’affetto e la tenerezza ci sono ancora, così come la pietà, la vita continua e rinasce, e c’è anche la morte di prima, quella per cui si lasciava questo mondo anche senza il virus, ci sono legami forti e cose grandi fatte da persone piccole che sono l’amore può far sì che accadano, e altri da noi che si scoprono diversi da ciò per cui sono state tenute a distanza, che hanno ancora un cuore, un dolore e una malinconia che non combattono, ma assecondano con gesti inaspettati e meravigliosi.

“Volevano realizzare un film entusiasmante e avvincente che attirasse i fan dell’horror ma che parlasse anche di come un ragazzino, grazie all’amore per la madre, prendesse una strada diversa rispetto al padre – ci rivela ancora Danny BoyleE volevamo che l’impatto di queste scene fosse davvero sorprendente, che 28 anni dopo fosse un film che non seguisse solo una serie di regole che lo rendono un buon sequel, ma che avesse un respiro più ampio”. Ecco, il respiro, quello che vi mancherà davanti ad alcune di queste commoventi e assurde piccole storie nella grande storia.

L’ispirazione dal Covid è scontata ma c’è, ed è inevitabile, così come quella di una rabbia improvvisa, violenta e irrefrenabile come quella che si scatena in qualcuno quando è al volante e parte la furia, quella rabbia che, dice Boyle, “va in un attimo da 0 a 100. Colpa anche della tecnologia – aggiunge il regista premio Oscar – che ci dà il potere, ma poi ci rendiamo ocnto di che non siamo la persona più iportante del mondo. Io non sono una persona cinica, sono invece otimista di natura e sono molto pfortunato per la mia curiosità che è nemica della noia; la curiosità è una continua ricerca: ecco, la mia infezione non è la rabbia, ma la curiosità”.

E la curiosità è anche la tecnica di ripresa del film per lo più con droni e cellulari col 4K, pochissime le troupe in campo, piuttosto qualche videocamera leggera, a volte gli attori  hanno girato da soli, telefonino in mano. E a chi gli chiede perchè l’horror piace tanto, risponde che “il mondo è diventato così incomprensibile, che ci aiuta a esorcizzare paura e disgusto reali, e piace molto anche alle donne, del resto: chi più delle donne conosce bene la sofferenza e il dolore?” 28 anni dopo, al cinema dal 18 giugno, prodotto da Sony Pictures e distribuito da Eagle Pictures, è magistralmente interpretato da Jodie Comer, Aaron Taylor-Johnson, Jack O’Connell, Alfie Williams e Ralph Fiennes. Nel prossimo sequel tornerà anche Cillian Murphy, protagonista del primo film, qui rimasto dietro le quinte come produttore esecutivo. Ecco un frammento del videoincontro con Danny Boyle che risponde alla nostra domanda: