Ilan Halimi è un ragazzo francese ed ebreo di origini marocchine che vive a Parigi. Ha 24 anni quando il 21 gennaio 2006 viene rapito dalla sedicente banda dei barbari: sono in venti più o meno, tutti provenienti da ambienti disagiati, e il loro capo, profondamente antisemita, si chiama Youssouf Fofana, un fondamentalista islamico originario della Costa d’Avorio, sicuro che gli ebrei hanno i soldi e soprattutto sono solidali tra loro per cui se li rapisci, qualcuno pagherà per liberarli. La banda pare fosse responsabile anche di precedenti tentativi di estorsione ai danni di professionisti ebrei.
Ma Ilan Halimi non è affatto ricco e neanche la sua famiglia. Lo torturano per tre settimane, trascorse le quali, il 13 febbraio, viene trovato su un binario della ferrovia a Sainte-Geneviève-des-Bois, nel Dipartimento di Essonne, è nudo e in agonia, non ce la fa ad arrivare vivo in ospedale. Il giorno dopo, l’autopsia rivela un quadro orribile dell’accaduto: il ragazzo ha bruciature sull’80% del corpo che è anche pieno di lividi, ferite sul viso e alla gola, alla sua morte hanno contribuito anche il freddo e la fame.
A raccontarne la tragica fine è sua madre, Ruth Halimi, che assieme alla scrittrice Émilie Frèche ha scritto un libro intitolato La verità sulla morte di Ilan Halimi. Il libro ha ispirato poi il regista francese di origine algerina Alexandre Arcady che ne ha fatto il film 24 jours, la vérité sur l’affaire Ilan Halimi interpretato da Zabou Breitman, Pascal Elbé e Jacques Gamblin, che Rai2 trasmette in anteprima italiana giovedì 7 maggio alle 21.15.
“Questo film è stato prodotto in condizioni estremamente difficili – racconta Arcady – senza il sostegno della tv nazionale francese o dei grandi media, nel paese c’è una tendenza a far finta di non vedere e spero che il fatto che la Rai lo mandi in onda ispiri la TV francese”. Sulla sottovalutazione della componente antisemita da parte delle forze dell’ordine che indagarono sul caso, il regista spiega: “io ho voluto cercare di capire come la polizia non abbia voluto vedere la realtà della situazione, supponendo che sia stata influenzata dalle recenti rivolte in periferia, così ha evitato di eccitare troppo gli animi, non le do addosso, ma non ha preso la strada giusta, descrivo i fatti come sono avvenuti”.
“Gli autori di questi fatti erano tutti giovani dai 17 ai 23 anni e di origini varie – ricorda Ruth Halimi, la madre di Ilan – alcuni di loro lo nutrivano ma la maggior parte lo torturava gratuitamente. Ci si può chiedere il perché, ma la risposta è semplice purtroppo: Ilan sarebbe sopravvissuto se non fosse stato ebreo”.
“L’antisemitismo in questo caso è stato sottovalutato e questa operazione è importante perché permette di recuperare il filo tra l’episodio di Ilan e quelli di più stretta attualità – dicono Alex Zarfati e Barbara Pontecorvo del progetto Dreyfus che ha proposto l’iniziativa alla Rai – il messaggio che vogliamo veicolare è che oggi si può morire per ciò che si è, per la propria identità, e questo è inaccettabile”.
Dopo il film, la serata di Rai2 continua infatti con Speciale Virus – Je suis Ilan contro il terrorismo, il fondamentalismo e l’antisemitismo in ricordo di Ilan Halimi con il dibattito condotto dall’Auditorium Conciliazione di Roma da Nicola Porro che “guardare le immagini di un orrore vuol dire voler conoscere per deliberare”, dice. Ci saranno Ruth Halimi, la mamma di Ilan, l’esponente della comunità araba di Parigi Imam Hassen Chalgoumi, il filosofo Bernard-Henry Levy e Gadi Gaj Taché, fratello di Stefano, vittima dell’attentato alla Sinagoga di Roma del 1982. Ospiti l‘Imam Yahya Sergio Pallavicini, vicepresidente della Coreis, la Comunità Religiosa Islamica Italiana, Riccardo Di Segni, rabbino capo della Comunità ebraica di Roma e Monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia.