Quante storie, intervista a Vauro: racconto la vita a teatro con Barbara Alberti

di Genny De Gaetano

Barbara Alberti è una scrittrice, giornalista e sceneggiatrice. Un’artista talentuosa e sferzante. Due aggettivi che calzano a pennello anche alla sua metà sul palcoscenico, quel Vauro Sanes meglio conosciuto come Vauro. Un nome che fa rima con vignetta e satira. Disegnatore sopraffino ma anche editore, personaggio televisivo e attore. Due corpi diversi ma una sola anima che racconta la vita in Quante storie, spettacolo che nel suo giro nei teatri italiani arriva martedì 21 e mercoledì 22 marzo a Roma, al Vittoria. La regia è di David Riondino e per vivere qualche emozione in più ne abbiamo parlato proprio con Vauro.

Come è nata l’idea di questo insolito duetto artistico con Barbara Alberti?

La vita è un racconto, un racconto quando il racconto lo si sa cogliere, accogliere e ascoltare. Quando nel racconto ci si entra con tutti i sensi, per cui in qualche modo se ne fa parte. E la vita allora è un insieme di racconti a quel punto e ti suscita anche la voglia, la passione per raccontare ciò che stai vivendo. Altrimenti c’è, io la chiamo, un’avarizia morale. Spesso c’è quando in realtà non hai niente da raccontare perché hai passato una vita che un racconto non è. Perché non sei stato attento. Sei stato disinteressato, indifferente oppure rimbambito da storie che storie non sono perché si consumano in un attimo. Siamo in un’epoca del consumo rapido di qualsiasi cosa. E allora è nata quest’idea di restituire al racconto il suo respiro. Il respiro del racconto è relazione diretta. Ed ecco perché l’idea di farlo in teatro dove si instaura una relazione diretta con il pubblico e non hai la spada di Damocle dei tempi televisivi che sono giocoforza ristretti. Nella figura di Barbara perché conoscendola e conoscendo la sua passione di vita e come scrive e quello che dice, c’ho riconosciuto una grande sintonia nella curiosità. Perché l’altro elemento per raccontare delle storie è proprio la curiosità, la curiosità nasce ancora prima dell’interesse ed è un ottimo antidoto contro l’indifferenza.

Ma Barbara Alberti essendo una scrittrice parte avvantaggiata rispetto a lei, Vauro, che racconta le storie con la matita?

Ma le dirò che questo vantaggio ce l’ha, è vero, ma anche io ho scritto sette romanzi per cui un po’ di letteratura ce l’ho anche io. Non lo sanno in molti perché sono firmati con nome e cognome e molti credono che sia un mio parente e sia un fatto di nepotismo.

Al di là di tutto, il racconto serve, anzi direi è fondamentale, per vivere…

Assolutamente sì. In questo spettacolo-incontro non solo raccontiamo le storie ma cerchiamo di raccontare anche come si raccontano le storie. Con quali mezzi e modi e per questo c’è uno spettro di strumenti di racconto che va dalla vignetta, al video, al reportage, al racconto orale, alla letteratura e alla poesia. Senza dimenticare la musica.

C’è un momento più di altri sul palcoscenico in cui l’emozione è più forte?

Ce ne sono di svariati perché le storie che raccontiamo io e Barbara sono storie che abbiamo vissuto, di cui siamo stati in parte protagonisti. A volte anche raccontare una storia che pure conosci bene è come se la raccontassi anche a te stesso e ti restituisce una parte di quelle emozioni che hai vissuto mentre c’eri dentro.

Ci racconta magari anche della mancata decadenza da senatore di Minzolini?

No, no, ve lo risparmio volentieri. Ci saranno anche parti brevi sulla politica italiana. Il racconto della politica italiana purtroppo è desolante. Lo racconterò con le vignette perché è l’unico modo che può renderlo più interessante.

Quante storie, dopo la doppia tappa romana, sbarcherà in Sardegna. Il 31 marzo ad Arzachena, il primo e due aprile a Tempio Pausania e a Santa Teresa di Gallura.

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