Fare l’attore a New York: intervista a Lorenzo Possanza, tra Cechov e Orange is the new black

di Patrizia Simonetti

Anche Lorenzo Possanza è uno dei tanti giovani che hanno lasciato l’Italia per andare ad esprimere il suo talento altrove, ma non per necessità o perché nel suo paese non trovava modo di farlo: in realtà a fare l’attore in Italia non ci ha neanche provato, lui vuole fa l’americano e vivere a New York ed è lì che sta adesso passando di palcoscenico in palcoscenico, ma trovando il tempo di fare quattro chiacchiere con noi via Skype. Ecco quindi la nostra intervista a Lorenzo Possanza, 22 anni a settembre e da 3 nella Grande Mela, che speriamo di vedere presto anche in qualche teatro italiano ( e lo spera pure sua mamma… )

Lorenzo, come ti trovi a New York?

Molto bene, la città è parecchio attiva, si possono trovare facilmente spettacoli cui partecipare, sia su Broadway che off Broadway. Sono riuscito a recitare nei miei primi show appena finita la scuola cercando occasioni sulla rivista e sul sito Backstage e ce n’erano diverse interessanti di differenti compagnie. Qui è tutto meno accademico che in Italia, tutti gli insegnanti hanno una grande fiducia nelle mia abilità recitative e non è difficile trovare nuovi amici con cui condividere pensieri ed esperienze.

La passione per la recitazione è esplosa prestissimo in te…

Credo di averla avuta dentro da sempre. Ho iniziato a 12 anni al Teatro Le Maschere a Roma, la mia città, dove si fanno spettacoli per bambini e anche il corso di recitazione che avevo frequentato. In realtà tutto è iniziato quando la mia insegnante di italiano ha consigliato a mia madre di farmi fare recitazione, e quindi la ringrazio. Poi il mio stesso insegnante de Le Maschere mi ha chiamato per un ruolo al Teatro Stabile del Giallo e lì ho capito che questo era il lavoro con cui volevo vivere.

Perché proprio a New York?

Intanto perché avevo già l’idea di partire dopo il liceo e in realtà non ho mai pensato di frequentare una scuola di recitazione in Italia, consapevole che la formazione in America sarebbe stata per me più completa. Poi perché da sette anni a New York c’era già mio cugino Francesco Andolfi, anche lui attore, e poi perché volevo uscire dall’Europa. Così ho chiesto di anticipare i miei esami di maturità e tre giorni dopo sono partito per frequentare un corso estivo a New York, migliorando sia la recitazione che il mio inglese che per me ormai è una seconda lingua; ad agosto ho sostenuto un provino per la scuola Stella Adler Studio of Acting che adotta il metodo Stanislavskij, e poi tutto è andato avanti. Come detto, New York offre molto a chi vuole fare l’attore, si trovano facilmente decine di audizioni che poi sfociano quasi sempre in qualcosa di concreto.

Tu quindi hai già fatto parecchie cose, raccontaci di qualche tuo personaggio interpretato sul palcoscenico...

Alla fine del primo anno scolastico ho recitato in Dog sees God di Bert V. Royal, un’opera che si svolge in una scuola superiore e il mio personaggio Van è molto divertente, esilarante, una ragazzo che sogna ad occhi aperti, e ogni tanto inizia a parlare di qualcosa che in quel momento non c’entra nulla, c’è un monologo ad esempio in cui di punto in bianco inizi a parlare della pizza messicana, così, senza nessun motivo…

Poi?

Poi alla fine del secondo anno ho partecipato a The Seagull di Cechov impersonando Semen Madvedyenko, una persona più grande e problematica di me, un personaggio completamente diverso e in un’opera classica, anche il modo di recitare è più classico, si tratta di una tragedia, e il personaggio è molto negativo, ben lontano dalle mie corde… del resto il mio primo spettacolo in assoluto fuori dalla scuola è stato l’anno scorso Cherish Every Precious Moment in scena al Producers Club Theaters, un dramma molto duro in cui interpreto John Mitchell, un uomo che cerca di salvare la sua comunità e la sua ragazza dalle droghe, tutto lo spettacolo gira su questo, mi è molto piaciuto.

E i prossimi spettacoli di Lorenzo Possanza a New York?

Tra pochi giorni debutto in Characters in Search of a Country, basato su Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello, mentre a settembre sarò in Johnny Got His Gun, uno spettacolo molto particolare tratto da un libro di Dalton Trumbo in cui il protagonista resta gravemente ferito durante la prima guerra mondiale e perde tutti gli arti, e anche il naso, la bocca e le orecchie, gli resta solo il tatto. Tutto lo spettacolo è basato su di lui che cerca di comunicare all’esterno i suoi pensieri. In scena siamo in sei e raccontiamo la sua storia attraverso i nostri movimenti.

Strano che un ragazzo della tua età si concentri sul teatro e non invece sul cinema e a televisione, non hai mai pensato di provare il grande e il piccolo schermo?

Sono entrambi qualcosa che tengo presente, ovviamente. Il prossimo anno per esempio mi piacerebbe fare qualche cortometraggio anche per capire come funziona, ma per ora è il teatro che mi interessa e credo che dia una sensazione più forte del cinema. In TV però ho fatto la comparsa in un episodio della serie di Netflix Orange is the New Black e ho anche girato un videoclip per un Dj francese dove faccio un ragazzo picchiato da un gruppo di ragazze…

A proposito di televisione, la vedi? Segui I talent show?

La vedo più che altro su Internet, soprattutto Netflix, appunto, e adoro la serie Narcos: la cosa che mi ha colpito di più è che l’attore che interpreta Pablo Escobar non è neanche colombiano ma brasiliano, è davvero bravo. No, i talent non li vedo.

Tua mamma vorrebbe che tornassi in Italia…

Vediamo, per ora preferisco restare qui, anche se il mio progetto sarebbe quello di lavorare sia negli Stati Uniti che in Italia. A breve cercherò di ottenere il visto artistico per tre anni così da poter venire anche in Italia a fare qualche provino e poi poter tornare a New York senza problemi.

Riesci a vivere del tuo lavoro di attore?

Per ora no, qualcuno mi paga, qualcun altro no, i miei per fortuna mi aiutano, ma prestò comincerò ad essere autosufficiente.

Sai che in Italia di lavoro ce n’è poco per tutti, soprattutto per i giovani?

Lo so e mi dispiace molto perché io amo il mio paese e mi rattristo quando sento di persone che se ne vanno perché non trovano lavoro. Io sono sempre favorevole alle esperienze di lavoro all’estero, come non potrei esserlo, ma nel senso di una scelta, di partenza voluta, come la mia. Invece pensare a gente costretta a farlo mi rattrista molto. Conosco molte persone di 35-37 anni arrivate qui in America dall’Italia dove hanno lasciato tutto… credo sia molto eroico, molto diverso che partire a 19 anni come ho fatto io e con le spalle coperte, è un’altra cosa, molto più difficile, anche per lingua, li ammiro molto.

Riesci a seguire da New York lo spettacolo in Italia?

Per il teatro è impossibile, per il cinema certo, ad esempio qui a New York ho visto La grande Bellezza di Paolo Sorrentino: ero con un amico italiano e dopo aver visto il film con Roma sempre in primo piano, quando siamo usciti dal cinema e ci siamo ritrovati in mezzo ai grattacieli è stato impressionante….

Il film preferito di Lorenzo Possanza?

La lista è lunga, ma fra tutti American Beuty.

Regista?

Martin Scorsese.

Attore e attrice?

Robert De Niro e Cate Blanchett, banali?

No. Ma chi ti dovrebbe chiamare a lavorare per farti tornare definitivamente in Italia?

Beh, se mi chiamasse Sorrentino non avrei esitazioni, ma anche Muccino andrebbe bene, magari per interpretare un tipo di personaggio che non ho mai fatto, che mi sfida, con tanti problemi nella vita, un ruolo difficile…

L’appello è lanciato.

 

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