Dieci piccoli indiani, Agatha Christie in versione TV

di Patrizia Simonetti

Una bella ragazza con il costume rosso nuota in acque limpide mentre una voce sussurra “ti amo”, eppure non sembra felice, poi eccola in spiaggia con occhiali e cappello tenere per mano un bambino con gli occhiali pure lui di cui qualcuno, poco dopo, grida disperato il nome… Comincia così Dieci piccoli indiani, indiscusso capolavoro di Agatha Christie, ovvero il suo romanzo più letto e il giallo più venduto della storia, nel suo adattamento televisivo in due puntate che arriva in prima assoluta stasera, domenica 6 novembre, e domani, in prima serata su Giallo, una grande coproduzione Mammoth Screen, Agatha Christie Productions, A&E Television Networks ed Acorn per la BBC che l’ha trasmessa lo scorso dicembre ma in tre parti, raccogliendo oltre 6 milioni di spettatori, già venduta e messa in onda a primavera anche negli Stati Uniti da LifeTime, scritta da Sarah Phelps e con Sam Neill (Caccia a ottobre rosso, Jurassic Park, Lezioni di piano, Le verità negate), Miranda Richardson (La moglie del soldato, Il mistero di Sleepy Hollow, The Hours, Harry Potter e i doni della morte), Noah Taylor (Almost Famous, Lara Croft: Tomb Raider, Vanilla Sky, La Fabbrica di cioccolato), Charles Dance (Il Trono di Spade, Michael Collins), Aidan Turner (I Tudor, Lo Hobbit), Maeve Dermody, Douglas Booth. Siamo nel 1939, stesso anno in cui Dieci piccoli indiani di Agatha Christie viene pubblicato in Gran Bretagna mentre in Italia uscirà solo nell’estate del 1946. Epoca e storia sono fedeli al romanzo che tuttavia nella versione televisiva che sa di cinema, gode delle atmosfere crime e anche un po’ horror più attuali, con particolari e colpi d’occhio che riportano persino ad American Horror Story a renderlo più contemporanero, credibile e interessante e con qualche variazione sul tema rispetto al libro.

Per chi non conoscesse la trama, Dieci piccoli indiani racconta di uno strano invito ad opera dei signori Owen, una coppia che vive in una grande casa bianca su un’isola al largo delle coste del Devon, ma che non sono lì al momento dell’arrivo degli ospiti, traghettati dalla terra ferma all’isola dal barcaiolo Fred che fa avanti e indietro con la sua barca “come il gomito di un violinista”, dice seccato. A dire il vero non li hanno ancora mai visti neanche i Rogers, l’inquietante coppia di servitori che li attende in casa, lui un vero bastardo e lei bravissima in cucina ma sempre con gli occhi doloranti che forse è la paura a non farglieli tenere ben aperti, ma con gli ordini di servire in tutto e per tutto il nutrito quanto disparato gruppo di sconosciuti: un playboy sfrontato che ama correre con la sua bella auto e che in questa versione televisiva tira pure di coca, un tipo belloccio che ama solo se stesso, un implacabile giudice in pensione, un detective razzista, un arrogante medico chirurgo specializzato in quelle che a quei tempi si chiamavano, ahinoi, nevrosi femminili, una single matura, anche se allora si diceva zitella, che crede nella forza delle donne ma passa il tempo lavorando a maglia e citando la Bibbia, un generale con un bel po’ di sensi di colpa, un mercenario senza scrupoli che si è divertito parecchio in Africa soprattutto facendo strage di nativi per rubare loro i diamanti ma anche perché un po’ gli piaceva, e una bella e giovane governante/baby sitter/insegnante/segretaria che non ama essere guardata, o almeno così dice, e che nel libro non fugge a nuoto dall’isola fermata dal giudice come invece fa in questa versione televisiva, così come nel libro non si fa una storia con Lombard e qui invece sì. Ed è lei, Vera Claythorne, la ragazza con il costume rosso dell’incipit, che come tutti gli altri, quindi come il giudice Wargrave e il dottor Edward Armstrong, ma anche come Philip Lombard e il Generale MacArthur, e come Emily Brent e Anthony Marston, ha una colpa, un omicidio per la precisione, particolare che sarà svelato a tutti di tutti al termine di una cena praticamente perfetta, con un vecchio stratagemma: quello di un grammofono, perché siamo pur sempre nel 1939, e di un microfono che amplifica in tutta la casa la voce di un attore, pagato apposta, incisa su un disco. A ciò si aggiunge la filastrocca dei Dieci piccoli indiani, da cui il titolo del romanzo, appesa al muro in ogni stanza, che racconta di dieci piccoli indiani che andarono a cena, ma uno si strozzò e restarono in nove, un altro si addormentò e non si svegliò e rimasero in otto, e via di seguiro. E guarda caso i forzati della festa che non c’è cominciano a cadere uno ad uno come mosche, il primo soffocato e la seconda morta nel sonno… mentre dal centrotavola in legno e onice, le statuine dei medesimi dieci piccoli indiani cominciano a sparire allo stesso ritmo dei decessi…

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