“I bambini sanno”: opera seconda di Walter Veltroni, dal 23 aprile nelle sale e poi in TV su Sky Cinema

di Patrizia Simonetti

I bambini non fanno solo oh, il povero Povia non ne ha mai azzeccata una. I bambini pensano e dicono, e soprattutto dicono quello che pensano. Intervistarli sui temi dei grandi, dalla politica al razzismo, dalla crisi all’amore, persino su Charlie Hebdo e l’Isis, non è proprio una novità, lo fa tutte le settimane Emanuela Giovannini a Di Martedì di Giovanni Floris, in prima serata su La7, in una rubrica che si chiama Abracadabra baby che, assieme alla copertina di Maurizio Crozza, è indubbiamente la parte più piacevole del talk show. Farne un film però è un’altra cosa. Lo ha fatto Walter Veltroni, già regista del documentario Quando c’era Berlinguer che ha vinto pure un Nastro D’Argento, e lo ha intitolato I bambini sanno. Ma lo sapevamo già. Che i bambini sanno, intendo.

Il film prodotto da Sky uscirà nelle sale il 23 aprile distribuito da BIM, poi passerà in TV su Sky Cinema. Ieri sera è stato presnetato in anteprima e in pompa magna all’Auditorium Parco della Musica di Roma alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, del suo predecessore Giorgio Napolitano, di ministri e politici vari e vip a gogò, da Lorella Cuccarini a Carlo Verdone a Sabrina Ferilli, stasera è proiettato al Festival del Giornalismo di Perugia e venerdì 17 aprile sarà presentato al Festival dei Bambini a Firenze.

“Ho cercato di raccontare attraverso le voci di 39 bambini il nostro tempo – spiega Veltroni – interrogandoli sulla vita, l’amore, le loro passioni, il rapporto con Dio, sulla crisi, la famiglia e sull’omosessualità. I bambini non sono delle strane creature alla quali rivolgersi con quel tono fintamente comprensivo che gli adulti usano per comunicare con loro – continua l’ex sindaco di Roma, ma anche ex segretario del PD ed ex Ministro dei Beni Culturali – hanno un loro mondo, un loro punto di vista, una loro meravigliosa sincerità, desideri non ancora frustrati, ma anche già piccole ferite. E un’idea del tempo e una concezione particolare dello spazio”.

Cosa serve nella vita per essere felici? “Sognare” risponde dopo averci pensato un po’ su, ma proprio poco, un paffutello filippino, e cosa sanno i bambini più dei grandi? “Inventare le cose”. “In questa società siamo tutti che non capiamo nessuno – dice un ragazzino dagli occhi pervinca come la sua polo – ci conosciamo solo su Facebook”. Mi parli della crisi? “Si dovrebbe fare un po’ una rivolta qua eh…” esorta un piccolo rivoluzionario con l’apparecchio ai denti. Cosa pensi dei musulmani? “Niente, sono come noi, siamo tutti uguali, tanto” chiosa il roscetto con il collarino di cuoio al collo. E il futuro è più preoccupazione o speranza? “Io direi che futuro è una bella parola” dice un ragazzino con la sindrome di Down. E qual è la cosa più bella che potrebbe succedere per tutti? “Che Dio.. ci salvi” risponde uno sognante. “Io non ho mai visto un bambino immigrato” confessa una ragazzina dai lunghi capelli chiari. Subito accontentata: quanto è durato il viaggio? “Un giorno o due, non mangiavamo, bevevamo l’acqua e basta” dice un bambino scuro, “ci hanno accolto, non sapevo neanche cosa fosse l’Italia” aggiunge un altro con la maglia di Pirlo.

Hanno tutti dagli 8 ai 13 anni, “quel tempo della vita in cui si diventa ciò che poi si è” dice Veltroni, sono di diversa estrazione sociale e regione d’Italia, oltre a qualche straniero, e sono intervistati più o meno tutti nelle loro camerette tra le loro cose, su amore, famiglia, religione, sessualità e dai loro racconti escono fuori le differenze tra ogni storia e cultura.

“I grandi spesso non hanno voglia di ascoltare questi pensieri sempre impegnati nella frettolosa consumazione di tempo e senso – dice ancora l’autore e regista – questo film racconta come i nostri bambini osservano e giudicano l’Italia, la loro vita, i grandi, il futuro”. Poi l’allarme: “un Paese in cui spariscono i bambini è un Paese senza fiducia, senza voglia di futuro, più conservatore. È anche un Paese con meno fantasia. E con meno poesia. Con meno gioco. Con meno ottimismo. E nel nostro Paese negli anni Sessanta, camminando per le strade, si poteva trovare un bambino, da zero ai quattordici anni, ogni quattro abitanti. Oggi ce n’è uno ogni otto, la metà”.

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